ADDESTRAMENTO

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Pubblicato il 14/05/2012

BRESCIA: DIARIO DEL CORSO LANCI DI UN PARACADUTISTA

Par. Damiano Fornaro
A.N.P.d’I. – sez di Brescia

BRESCIA-Siamo in 25 , in una palestra del comune di Brescia. Volti più o meno giovani. Aspiranti paracadutisti provenienti da tutta la provincia. Ci sono militari, operai, dirigenti, impiegati e studenti, un giovanissimo sedicenne, un padre di famiglia e perfino una giovane ragazza.
Ci viene consegnato l’abbigliamento e presentati l’istruttore, il corso e lo staff che ne avrebbero fatto parte.

Si comincia subito con un pò di istruzione formale: attenti, riposo, il rompete le righe e una prova di adunata. Divertente, penso, ci fanno fare i soldati.
Siamo un gruppo numeroso, eterogeneo e con esperienze tutte diverse, ma che alla fine del corso avrebbe avuto una bella storia da raccontare.

L’inizio
Il primo appuntamento con l’agognato corso di paracadutismo sotto controllo militare: l’istruttore chiama l’adunata, tutti in riga e tutti uguali. Sembriamo un vero plotone.

Incominciano le attività in tenuta da allenamento; blando riscaldamento e una lunga corsa con esercizi a corpo libero estenuanti. Per alcuni non sono una passeggiata,ma l’orgoglio e la paura di non essere all’altezza degli altri spinge a non mollare e arriuvare alla fine senza cedere.
Dopo la preparazione fisica, la teoria: materiali, termini tecnici, numeri, procedure; un groviglio di informazioni: troppo difficoltoso- pensavamo- non ce la faremo mai a immagazzinarle.
Le flessioni sulle braccia diventano il nostro passatempo preferito. Anche se orgogliosi di quel grido al rompete le righe, la durezza del corso e il quantitativo di informazioni da capire, più l’ambiente militare, spinge alcuni a chiedersi: ma chi me lo ha fatto fare ????

I primi giorni
Le lezioni continuano, l’attività diventa sempre più dura, le nozioni sono sempre di più numerose e la voglia di mollare in alcuni allievi non tarda a farsi sentire.
Gli “anziani” dei corsi precedenti ci mettono un po’ di soggezione, non sai come rivolgergli la parola, hai paura di sbagliare, hai paura di non muoverti nella maniera giusta . Il gruppo non aiuta sempre, perché non c’è ancora una vera e propria squadra, un vero e proprio “Undicesimo” corso.
Una certa selezione naturale la fa l’allenamento intensivo, tra egocentrismo e maschia natura, ma il gruppo fa fatica a legare: venticinque persone non sono facili da amalgamare e la situazione viene subito inquadrata dagli istruttori che ci parlano più volte dello spirito dei paracadutisti. Poi arriva la nomina del capo corso e capiamo che non esisterà più il singolo, ma la squadra: tutti uniti. Non si lascia indietro nessuno.

Verso la fine
l’undicesimo corso Pantere inizia ad ambientarsi.
Siamo diventati una famiglia. Fallisce uno , falliscono tutti: ecco lo spirito con cui affrontiamo le prove. Poi arriva la bandiera “XImo” e sotto quel simbolo noi ragazzi ci sentiamo ancora più uniti e rappresentati,al punto di trovarci spesso anche dopo il corso. Avevamo finalmente raggiunto una buona sitonia.

L’attività fisica all’inizio tanto odiata non ci sembra più un problema perche si supera soffrendo insieme. Durante la corsa abbiamo gridato motti del corso e cantato canzoni.

Le nozioni tecniche iniziavano ad avere suoni famigliari: one shot, quick ejector, zona lancio, capovolte: Parole che non sono più incomprensibili.
Sembra incredibile, ma l’intenso esercizio e l’impegno ci hanno portati a grandi progressi in poco tempo e ci sentiamo quasi pronti (sulla carta) a gettarci da un’aereo. L’alto tasso di serietà degli istruttori e dell’intero corso si trasferisce anche nella vita privata al punto che faccio fatica a perdere l’inquadramento e la perseveranza insegnataci dai nostri istruttori.
La coesione del gruppo attenua ogni paura e il rapporto con gli anziani diventa ogni giorno più familiare e collaborativo. I campi addestrativi con il nucleo d’elite della sezione -il N.O.P. (nucleo operativo paracadutisti)- ha portato ulteriore unione e affiatamento.

Gli esami
Divisi in 2 scaglioni, visibilmente tesi, ma consapevoli della volontà di “vincere” abbiamo affrontato lo sguardo talvolta inquietante degli istruttori. Un errore avrebbe vanificato tre mesi di corso.
Senza alcun riguardo e preferenza, gli esaminatori fanno domande a raffica, a volte senza far nemmeno concludere la risposta, con l’intento di metterci sotto pressione e testare la prontezza.

Falsi imbraghi, uscite dalla porta, capovolte, materiali, tutto ciò che avevamo provato e riprovato nel corso, doveva trasformarsi in errore zero.

Il nostro D-DAY
Un pullman con 30 posti ci ha raccolti la mattina presto, equipaggiati per i 2 giorni tanto attesi a Ravenna,per i quali avevamo faticato e lavorato per 3 mesi.
In zona lanci abbiamo fatto conoscenza con un “personaggio” come il Direttore della Scuola il par. SCHENETTI Basilio Marco, detto il grande SKIN.
In poche ore dall’arrivo, nemmeno il tyempo di fare la branda, ed eravamo già imbragati e pronti al lancio. Meticolosi i controlli e rigide le procedure pe rla sicurezza; il vento è buono, il tempo sereno: è arrivato il momento.
La striscia di asfalto per raggiungere il punto di imbarco sembra interminabile e ad ogni passo cerchiamo lo sguardo di chi ci aveva preparato per fare quel gesto.
Per mesi abbiamo sentito la stessa frase, ripetuta dagli istruttori più e più volte: ” il vero esame sarà ALLA PORTA” ed era proprio cosi.

L’aereo decolla e ci facciamo coraggio. La mente sgombra sembra di non ricordare quasi nulla, ma al comando “UN MINUTO AL LANCIO” tutto si riaccende. La procedura diventa più limpida che mai: alla porta, pacca sulla spalla e via, fiduciosi del nostro destino e della nostra preparazione, ci lanciamo nel vuoto.

Certe emozioni non si possono descrivere: non saprei rendere l’idea di cosa ho provato.
Il primo è andato ne mancano due, ma la meteo non è magnanima con i neo arditi dell’aria: si alza il vento e si mette a piovere. I lanci sono sospesi.
Notte serena, compagnia ottima, e ottimo cibo, ma dopo il primo lancio lo sguardo va continuamente verso il cielo e alla maledettissima manica a vento che non si abbassa.
La mattina del secondo giorno cielo è leggermente coperto, ma il vento sotto la norma; sveglia, adunata e alza bandiera e via alla preparazione dei decolli.
Partito il primo, subito un malfunzionamento di un allievo. Come da procedura per i reggiseni, chi è in aria guarda impugna e traziona. La cosa si risolve con l’apertura dell’emergenza. L’episodio sparge un po’ di timore e capisco l’importanza dei discorsi dei paracadutisti più esperti e degli istruttori.

La mattinata consente all’XI° di fare 2 lanci, ma a mezzogiorno il tempo peggiora e lì’attività viene di nuovo sospesa; la paura di non brevettarci insieme e lo stesso giorno diventa concreta.
Skin e il suo staff vogliono che la sezione di Brescia torni a casa con le ali e si mettono a disposzione perchè così avvenga. Con 3 decolli a seguire, rubando spazi di vento debole e ampie schiarite portiamo a compimento il nostro percorso addestrativo.
A terra, finalmente, grida, abbracci, sorrisi ed esplosioni di gioia, appena dopo atterraggio e ultima capovolta di uno dei nostri.

Conclusioni
Durante il viaggio di ritorno, seppur contenti per il conseguimento del brevetto, vedo visi tristi e occhi lucidi. Qualcuno cita l’Enrico V di Shakespeare: “Banda di Fratelli”.

E’ cosi che ci sentiamo e ogni chilometro di ritorno ci fa avvertire la consapevolezza che quello sarebbe stato l’ultimo viaggio da XI° corso Pantere.

Il risultato più importante, dopo avere vinto la paura, resterà la seconda famiglia che abbiamo trovato. Fratelli e amici che hanno condiviso le stesse difficoltà: ci siamo aiutati nei momenti difficili e abbiamo gioito in quelli di festa.

Spero che i valori e le tradizioni che gli istruttori e il Presidente ci hanno insegnato, diventino la caratteristica adella nostra vita. Vorrei che il gruppo restasse unito e che partecipasse attivamente alla vita di sezione.

Chiudo citando le parole di un nostro istruttore: “… non conta il numero dei lanci, siamo e sarete parà per sempre”.

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