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Pubblicato il 13/01/2014

CORSO DI ITALIANO ALLA UNIVERSITA’ DI HERAT: UN SUCCESSO DI ADESIONI E RISULTATI DIDATTICI


HERAT- l’ambasciata italiana l’anno scorso ha organizzato un corso di italiano all’Università di Herat che si è concluso a giugno. «Il corso – dice Margherita Picchi, dottoranda di ricerca all’Università Orientale di Napoli e incaricata del progetto – ha lo scopo di favorire le relazioni italo-afghane, anche nella prospettiva del dopo 2014, in particolare nella Regione Ovest, dove ha operato il nostro contingente. Il corso di lingua italiana, che si spera sia confermato quest’anno, era rivolto a due classi e aveva frequenza bisettimanale». L’Università di Herat è una delle più grandi dell’Afghanistan, e il numero di iscritti è in aumento. «Gli studenti – continua Picchi – sono nati negli anni della guerra civile, quando in molti casi le loro famiglie erano rifugiate all’estero, in Pakistan o in Iran. Anche per questo, il ritorno in patria ha assunto per loro un significato particolare: la maggioranza vorrebbe rimanere e dare un contributo allo sviluppo del Paese. Ma il tasso di disoccupazione è tale che per molti l’emigrazione è una scelta obbligata». Forse anche per questo il corso di italiano ha avuto un grande interesse tra gli universitari di Herat. Sono state presentate ben 374 domande di iscrizione. Tra queste, ne sono state scelte ottanta, di cui 25 ragazze, utilizzando come principale criterio la conoscenza dell’inglese. I partecipanti sono poi stati divisi in due classi di 40, nessuno dei quali aveva una conoscenza della lingua italiana. Sono tante le storie che ho incontrato – continua -. Come quella di Jamila, che ha affiancato la madre nel farsi carico di quattro sorelle minori dopo la morte prematura del padre. A settembre si è sposata e si è trasferita in India, dove il fidanzato aveva trovato lavoro. Ma Jamila ha anche un’altra passione, quella per la scrittura. Scrive poesie, rivendicando con orgoglio la lunga tradizione della poesia persiana. O la storia di Fatima, studentessa del secondo anno, figlia di un medico, che faceva compiti sempre perfetti, e investiva tutte le sue energie nello studio, perché il suo sogno è di diventare chirurgo. Un obiettivo non facile da raggiungere per un afghano, visto che l’unico modo per conseguire questa specializzazione è proseguire gli studi all’estero, magari in Italia». Tra le nuove generazioni c’è voglia di riscatto, e l’impegno negli studi lo dimostra. «Ho notato un grande entusiasmo – conclude la lettrice -, e un grande impegno da parte degli studenti. La frequenza è sempre stata alta, con una percentuale di assenze solo del dieci per cento, e si sono tutti sempre tenuti al passo con il programma. Per valutare il loro livello è stato effettuato un test intermedio: 31 su 48 l’hanno superato. Tutti i candidati all’esame finale hanno superato la prova. Alla fine è stato rilasciato un attestato di frequenza comprensivo di un giudizio generico attribuito sulla base di risultati conseguiti all’esame, sulla base della frequenza e del comportamento. Cinque hanno ottenuto “eccellente”, sei “molto buono”, otto “buono” e nove “sufficiente”».

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