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Pubblicato il 29/08/2014

E’ GIUSTO PUBBLICARE I VIDEO DELLE DECAPITAZIONI ?


E’ GIUSTO PUBBLICARE I VIDEO DELLE DECAPITAZIONI ?

foto: Domenico Quirico, giornalista de La Stampa: nel 2013 è stato rapito in Siria e rilasciato dopo cinque mesi di prigionia (©GettyImages).

Isis e decapitazioni, Domenico Quirico: «Non censuriamo l’orrore dei jihadisti»

Critica l’indecisione Usa in Siria. E invita a pubblicare i video macabri. Quirico: «L’Is è colpa nostra». Nuova esecuzione.

INTERVISTA

di Gabriella Colarusso
Lettera 43

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La decapitazione del giornalista americano James Foley. Le esecuzioni in Egitto a favor di telecamera. Le umiliazioni e le violenze su uomini inermi pubblicizzate in video di buona qualità per chiamare alla guerra.

IN RETE IMMAGINI DI MORTE. La propaganda jihadista dell’Isis, come quella dei gruppi armati vicini ad al Qaeda, sta inondando la Rete di immagini di morte – ultimo il video del massacro in Egitto – e i media si trovano di fronte a una scelta complicata e non senza implicazioni: pubblicare o no quei contenuti? Se e quale censura può essere applicata? Cos’è informazione e quando invece mostrare l’orrore non serve ad altro che ad alimentare la propaganda di morte?
CONOSCENZA CON LA COSCIENZA. «Io quel video l’avrei pubblicato, la coscienza passa sempre attraverso la conoscenza e non attraverso la negazione, la censura, l’aggiramento della realtà», dice a Lettera43.it Domenico Quirico, inviato di guerra de La Stampa che ha raccontato e seguito l’evoluzione delle Primavere arabe, da Tripoli a Damasco, ed è stato rapito in Siria nell’aprile 2013: cinque mesi ostaggio dei jihadisti, fino al rilascio, l’8 settembre.

DOMANDA. Era giusto pubblicare il video dell’uccisione di Foley? È informazione o come sostiene qualcuno solo un favore ai jihadisti?
RISPOSTA. Bisogna riflettere su chi siano i destinatari della comunicazione dei fondamentalisti islamici, che non sono, come noi continuiamo a ritenere, persone uscite dal Medioevo e strampalatamente arrivate nel nostro tempo, ma fanatici perfettamente in grado di maneggiare la comunicazione moderna, in modo estremamente abile.
D. E chi sono i veri destinatari di quel video e degli altri fatti circolare in questi giorni?
R. Non siamo noi, se non in modo parziale. Indubbiamente c’è un intento terroristico nei confronti dell’Occidente: mettere paura, creare inquietudine, insicurezza, ma questo è un messaggio secondario. Il primo destinatario di quella comunicazione è il mondo islamico.
D. Un invito a unirsi alla jihad o c’è qualcosa di più?
R. Mostrare un video con un occidentale, in particolare un americano, che viene ammazzato come una bestia, che è totalmente nelle mani di coloro che lo detengono, abbigliati secondo i canoni dell’islamismo più radicale, per una buona parte di quel mondo è un messaggio che determina consenso, ammirazione e imitazione.
D. Non terrorizza anche l’ampia parte di società musulmana che non vuole orrore e martirio?
R. Io non sono uno che crede che tutti i musulmani siano delle belve umane, è la cosa più lontana dalla mia concezione. Ma se lei andasse in Siria ora, sono sicuro che troverebbe una quantità enorme di ragazzini che hanno caricato sul loro telefonino l’immagine di Foley sgozzato.
D. Come lo spiega?
R. L’occidentale umiliato e nelle mani di islamisti costituisce un messaggio confortante, che dona ottimismo e voglia di imitazione. Equivale a dire: dopo aver subito umiliazioni secolari siamo in grado di ripagarli.
D. YouTube e Twitter hanno rimosso il video. Questo può servire a limitarne la diffusione e a non favorire la propaganda jihadista?
R. Non è così semplice il meccanismo: qualcuno lo decide a New York o a San Francisco e il contenuto sparisce. In Siria ho visto persone che appartenevano a gruppi jihadisti e non, anche tutt’altro che estremisti, che viaggiavano con al seguito sequenze orribili di linciaggi e fucilazioni di massa. Se li portavano dietro insieme con le predicazioni degli imam radicali più alla moda.
D. Impossibile censurare.
R. Una volta avevamo il monopolio dell’informazione visiva, oggi nel mondo musulmano credo non ci sia più nessuno che guardi le emittenti come Cnn o Bbc. I miei sequestratori avevano la tivù accesa tutto il giorno e c’erano in continuazione decine di canali, di cui io non avevo mai sentito parlare, che trasmettevano senza sosta discorsi, sermoni e immagini di imam radicali, dal Pakistan agli Emirati.
D. Ma lei da direttore avrebbe scelto di pubblicare no le immagini della morte di Foley?
R. Le avrei pubblicate. La coscienza passa sempre attraverso la conoscenza e non attraverso la negazione, la censura, l’aggiramento della realtà. Chiudere gli occhi di fronte alla realtà è sempre un errore, ci fa fare scelte sbagliate. La separazione tra le vittime e gli assassini passa necessariamente dalla visione di ciò che questi ultimi fanno.
D. Che effetto possono avere, invece, quelle immagini sulle opinioni pubbliche europee o americane?
R. Credo che abbiano una vita assai breve nell’attenzione delle masse occidentali. Non mi sembra che questa vicenda della nascita dello Stato islamico – la gigantesca sfida islamista, che va dall’Africa occidentale alle Filippine – abbia ancora acquistato nell’attenzione collettiva, anche dei governi e delle cancellerie, il ruolo che dovrebbe avere.
D. Gli Usa sono indecisi sul da farsi. E l’Onu è assente. L’Occidente è impotente di fronte al diffondersi della violenza islamista?
R. Un progetto politico militare che è la costruzione del Califfato sta imponendo delle trasformazioni radicali in Siria e in Iraq, sta producendo in termini di sofferenza umana conseguenze gigantesche, senza che l’unica potenza occidentale degna di questo nome, gli Stati Uniti, sia stata in grado di fare qualche cosa. Questo è un elemento di assoluta novità.
D. Disimpegno o declino americano?
R. Gli Usa non hanno fatto niente perché non possono fare nulla, non hanno i mezzi per intervenire. Questo dovrebbe cambiare radicalmente la nostra valutazione di quello che sta capitando a due ore di volo da noi.
D. Un intervento militare in Siria è la risposta necessaria?
R. In Siria c’è un signore che si chiama Assad. Per intervenire lì bisogna mettersi d’accordo con lui e accettare le sue condizioni. Gli Stati Uniti volevano bombardarlo nel 2013, non 20 anni fa. Ho l’impressione che ci sia un po’ di confusione nella scelta del nemico.
D. C’è una terza via, né con Assad né con i jihadisti?
R. Non so. Quello che sta accadendo oggi è la sconfitta tragica della vera rivoluzione siriana, che voleva semplicemente buttare fuori Assad senza costruire Califfati. Rivoluzione che noi e Obama abbiamo lasciato morire. È la bancarotta della politica e della diplomazia occidentale, il frutto della nostra ignoranza e della nostra insipienza.

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