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Pubblicato il 03/02/2015

EGITTO: CROLLO DEL TURISMO. PHONE AND GO ALZA BANDIERA BIANCA

PHONE AND GO IN CRISI. DA 100 A 30 DIPENDENTI IN 3 ANNI.

PISTOIA «Facciamo salti mortali per continuare nel nostro business. Soprattutto in questi anni di crisi ci troviamo aggrediti dal fisco, le banche non danno più credito, le istituzioni non hanno soldi. Siamo tra le prime dieci aziende pistoiesi per fatturato, ma… il nostro futuro? Non so, spero in una ripresa per il 2017-18. I miei soci in Egitto mi dicono di tornare là, non capiscono perché io non abbia ancora lasciato Pistoia». Fouad Hassoun, 53 anni, egiziano, laureato in Economia e commercio, ha iniziato la sua carriera professionale come accompagnatore turistico ed è diventato, nell’arco di 25 anni, uno dei più importanti imprenditori mediorientali di turismo. Sposato con una pistoiese, nel 2003 ha scelto Pistoia come sede principale della Phone & Go (Telefona e Vai). Sembrava l’uovo di Colombo (la possibilità di prenotare le vacanze attraverso il telefono). A distanza di dieci anni, dopo aver raggiunto i 100 dipendenti e i 105 milioni di euro di fatturato (anno 2010), la Spa ha chiuso il 2014 trattando esodi incentivati con una ventina di lavoratori. Sempre buono il fatturato con cui è stato chiuso il 2014 (72 milioni di euro), ma da settembre a dicembre c’è stato un calo del 50%. «Mai passato un periodo del genere», commenta Hassoun. La forza lavoro ora è di 30 persone, e il call center è stato portato in outsourcing a Sharm el Sheikh. «L’abbiamo tenuto a Pistoia fino al 2011 – racconta Hassoun – Poi l’abbiamo spostato all’estero per contenere i costi fissi». Phone & Go è «l’unico tour operato charterista della Toscana, uno degli otto rimasti in Italia». Erano 50 dieci anni fa. Un tour operator charterista tratta gruppi e viaggi di massa. «Siamo assemblatori di servizi: creiamo il pacchetto e lo vendiamo alle agenzie di viaggio”. Forte la concorrenza del low cost: «Per alcune destinazioni – Africa, Mar Rosso – il turista ha bisogno del pacchetto, non può “combinare” l’intera vacanza on line. Ma per destinazioni come isole Baleari o isole greche può fare da sé». Un operatore charterista paga tutto l’aereo. «Ad esempio, abbiamo un aereo che da Malpensa parte ogni domenica per Zanzibar con 260 posti. Se non vendiamo 26 posti sono 600 euro per ogni passeggero mancante. Quindicimila euro persi solo per il volo. In alta stagione arriviamo a 20 voli a settimana. E così anche l’albergo. Siamo rimasti in piedi perché gran parte degli alberghi sono gestiti da noi o di nostra proprietà». Secondo punto: i cambiamenti del mercato. «Le vacanze sono concentrate in due settimane ad agosto, Pasqua e Capodanno. Il Natale 2014 è stato pessimo, il Capodanno buono». Diversa la situazione «in Paesi come l’Inghilterra e la Germania, dove il mercato del turismo è attivo tutto l’anno». Dai 73 dipendenti del 2004, Phone & Go è salita 100, per poi ridimensionarsi a 50 e da inizio 2015 a 30. Spostato il call center, negli uffici di via Galvani (nella zona industriale di Sant’Agostino) sono rimasti la parte direzionale, il commerciale, l’operativo, l’ufficio voli, risorse umane, l’ufficio prodotti, il marketing, l’amministrazione. «La crisi degli ultimi due anni – prosegue Hassoun – ha costretto l’azienda a una scelta dolorosa. Io e i miei soci abbiamo messo nella Phone & Go 20 milioni di euro, facendo delle scelte: nel dicembre 2013 avevamo 19 milioni di fidi con le banche, da gennaio a settembre 2014 ne abbiamo rimborsati 12. Abbiamo chiesto, visto il periodo, di stopparci le rate e ce l hanno concesso, ma alla richiesta di nuova finanza per superare il momento c’è stato opposto un diniego». La situazione si è complicata da settembre, con un calo netto del lavoro. «Ho riunito lo staff e ho parlato chiaramente». Ed è stato difficile, sostiene Hassoun, dover «esser chiari con persone che erano con noi da dieci anni». L’azienda ha proposto dimissioni volontarie offrendo come contropartita esodi incentivati: «Due anni di stipendio, con Phone & go che non dovrà pagare, in pratica, solo i contributi». Ridimensionare non vuol dire gettare la spugna, anche se l’imprenditore si toglie qualche sassolino dalla scarpa: «Non è facile rimanere in piedi. Il costo della manodopera è elevato, le banche non danno aiuti e il fisco è molto aggressivo. Abbiamo investito molto in questo Paese, credendoci. Diciamo che nel momento del bisogno – non per incompetenza nostra ma per una crisi oggettiva e globale – abbiamo chiesto aiuto, non trovandolo»

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