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Pubblicato il 14/08/2024

GUERRA RUSSIA-UKRAINA: IL MINISTRO CROSETTO SCRIVE AL CORRIERE DELLA SERA

Lettera del Ministro della Difesa Guido Crosetto pubblicata sul Corriere della Sera il 14 Agosto 2024

L’Italia è seria, salda e affidabile con l’Ucraina E come i veri amici l’aiutiamo a riflettere

Zelensky e i nostri alleati ci giudicano così – di Guido Crosetto


Caro direttore, affidabili, seri e saldi nell’azione a loro sostegno. Così ci giudicano gli ucraini, a partire dal loro presidente Zelensky, passando per tutto il suo governo, fino a tutti i suoi cittadini. Allo stesso modo ci giudicano i nostri alleati della Ue e della Nato. In primis gli americani.


Esattamente il contrario dell’immagine che del governo italiano scaturisce dall’editoriale di ieri di Paolo Mieli nel quale esprime un suo giudizio sulla posizione dell’Italia e, in particolare, la mia come ministro alla Difesa rispetto alla guerra russo-ucraina. Questo giudizio a mio avviso poco ponderato pubblicato sul Corriere mi obbliga a rispondere. Mi rivolgo ai lettori del Corriere più che allo stesso Mieli, che non si occupa di guerra in Ucraina con la costanza, e con la conoscenza, con le quali me ne occupo io.


È certamente più facile discutere di questa grave questione senza conoscere tecnicamente la materia, ciò che accade ogni giorno, gli avvenimenti sul campo, le tattiche, le difficoltà, e l’evoluzione continua di un conflitto ormai endemico, diffuso e complesso. Così come poco o nulla può sapere, Mieli — ed è normale che sia così — dei rapporti continui, costanti, quotidiani, tra l’Italia, la Difesa italiana in primis, e una nazione come l’Ucraina, martoriata da oltre due anni di guerra ininterrotta in difesa della propria libertà in seguito all’invasione russa. Ma se si vuole davvero del bene a questa nazione, su queste materie non si dovrebbe giudicare con un occhio di parte, o con il gusto della polemica per la polemica.

E purtroppo così sembra, a giudicare dal fatto che nell’editoriale in questione sono riprese e commentate solo alcune parole di un mio ragionamento molto più ampio, forzandone il significato e alla fine emettendo un giudizio inevitabilmente strumentale.

Dispiace che Mieli non abbia avuto modo di informarsi meglio sulle mie reali parole.

Avrebbe scoperto che io ho spiegato, subito, di fronte a chi parlava di aggressione, che l’attacco ucraino non è un’invasione ma una tattica difensiva, un modo per allentare la tensione in Ucraina, costringere i russi a spostare i propri uomini in Russia, che si pone l’obiettivo di ottenere un maggiore equilibrio sul campo, di trovarsi più forti davanti a un futuro, auspicabile, tavolo di pace.


Non è difficile comprendere le motivazioni che hanno spinto all’attacco in quella zona o quale sia il potenziale obiettivo della manovra.

Come ho già avuto modo di dire (bastava cercarlo su Google) è stata una mossa razionale, con una logica sia di tecnica militare che di politica militare. Una mossa sulla quale ognuno di noi può avere dei propri giudizi.

Alcuni possono considerarla giusta, altri sbagliata. La cosa dirimente è che il giudizio sia però dettato dal medesimo presupposto e cioè che sia dettato dal bene del popolo ucraino, dal raggiungimento di ciò per cui ci siamo impegnati in questi anni: il ripristino del diritto internazionale e dell’integrità territoriale ucraina. Mieli forse si è perso le dure critiche di cui siamo stati fatti oggetto, in questi anni, per aver aiutato (senza se e senza ma) l’Ucraina in ogni modo possibile, per essere stati fermi e per non aver usato parole ambigue sul tema. Sarebbe bastato ascoltare le parole che tutti gli ucraini hanno sempre avuto nei confronti di questo governo (e questo ministro) per evitare il sarcasmo finale su una nostra presunta posizione ambigua.


Sarebbe bastato chiedere a quegli americani o britannici che vengono citati cosa pensano del comportamento, tutt’altro che ambiguo, di questo governo.

Mentre in molti pontificano, noi in questi anni ci abbiamo messo la faccia, il lavoro, la fatica, il fegato e molto altro, molto più di quanto si possa immaginare e più di quanto racconteremo mai.

Per questo è difficile accettare i giudizi espressi in modo grossolano che sfociano in assurde provocazioni, maligne ricostruzioni di una Meloni che mi avrebbe chiamato per rimproverarmi. Se ho espresso un giudizio sulla tattica ucraina è perché è mio obbligo interrogarmi per chiedermi se questa scelta aiuti o indebolisca la causa ucraina. Gli amici, i veri amici, non dicono sempre hai ragione.

Il loro compito è aiutare a riflettere. E noi siamo veri amici degli ucraini.

Non sostenitori di maniera, o per ossequio al politicamente corretto, come molti ne abbiamo visti in questi anni.


E infatti ho condiviso le mie preoccupazioni con i miei colleghi delle altre nazioni e della Nato, come faccio sempre, e con i miei omologhi ucraini, come già accaduto in passato. Perché io penso che il mio compito sia quello di dire ciò che penso e ritengo giusto e non ciò che i miei interlocutori vogliono sentirsi dire.

Solo una mentalità malata di provincialismo può scambiare il coraggio della verità, di un giudizio, di un’opinione, con l’ambiguità. Questo sì, forse ci differenzia da molti altri: il coraggio di dire ciò che si ritiene giusto, anche accollandosi il rischio di sbagliare, prima che una cosa accada. Il coraggio di dire ciò che si pensa non perché si abbiano interessi, ma perché è giusto farlo. Passando ad altro, un po’ mi stupisce che Mieli non capisca il ragionamento sull’invasione o sull’utilizzo delle armi italiane sul suolo russo. Un ragionamento complesso che non pone un distinguo rispetto al giudizio, alla scelta di con che parte stare. Un ragionamento nel quale si pone anche un tema più alto, un tema anche di principi, di valori, di legittimità internazionale, un ragionamento che cammina su uno stretto crinale, che varia da nazione a nazione perché variano leggi e costituzione da nazione a nazione. Quando si parla di utilizzo di armi italiane sul suolo russo qualcuno pensa a cose generiche su cui dare un giudizio generico sulla base di ciò che fanno altre nazioni, io no.


Io so di cosa si parla, di come si usano, di chi ne autorizza l’uso, come avviene ogni dinamica di decisioni e di utilizzo.

Io conosco, così come conosco le norme italiane che lo regolano. Diverse da quelle di altre nazioni.

Inadeguate probabilmente ad affrontare il momento che viviamo, come ho avuto modo di dire in Parlamento e al Consiglio supremo di difesa.

Nella totale indifferenza di autorevoli commentatori.

Come si vede una cosa un po’ più complessa di come è stata liquidata in qualche articolo.


Ho tolto già troppo tempo a cose serie e alla mia famiglia e conservo il diritto di non sprecarne altro per parlare più approfonditamente di questa questione e di come sia in realtà legata a qualcosa di ancora più grande con cui dovremo confrontarci in futuro.

Temo che i prossimi giorni porteranno la nostra attenzione su altre aree del mondo.

E sarà necessario occuparsi di altre questioni molto complesse, con il rischio, purtroppo, anche di nuove semplificazioni.

Buon Ferragosto.

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