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Pubblicato il 14/04/2019

I 98 ANNI DEL LEONE DELLA FOLGORE ARTIGLIERE PARACADUTISTA GIUSEPPE DE GRADA

PAVIA- Il leone della Folgore Giuseppe De Grada ha celebrato oggi il suo 98mo compleanno nel pavese, dove vive da
qualche anno insieme ai nipoti, in un podere sulle colline dell’oltrepò.
Come ogni anno, è stato festeggiato dai paracadutisti ANPDI di Cremona, la sua sezione. Il loro presidente Fabio Cristofolini e gli altri hanno organizzato la festa. Con loro c’erano amici e parenti e diversi paracadutisti provenienti da altrec province. Il maltemnpo e i malanni di stagione non hanno aiutato gli spostamenti dei più lontani.
Con un bellissimo passaparola,avvenuto anche tramite il nostro giornale, il regalo di quest’anno sono state le molte cartoline che gli sono arrivate per posta, rallegrando la sua giornata,
Giuseppe DeGrara non è molto “eletronico”, quindi i suoi paracadutisti hanno pensato che fossero più gradite quelle col francobollo piuttosto che quelle elettroniche. Ottima idea.
Il 95mo lo aveva fgì festeggiato con un lancio Tandem presso la SkyTeam di Cremona.

IL RACCONTO DELLA SUA STORIA
“A 18 anni, per l’epoca, ero minorenne . Facevo il militare sul fronte francese e a Cuneo vidi dei libretti che pubblicizzavano l’attività di paracadutista: i miei genitori mi fecero scrivere dal parroco che non avrebbero firmato alcun permesso. Un anno e mezzo dopo ero a Tarquinia. Gianni Brera, all’ufficio propaganda, scopre che sono pavese come lui e mi fa: “Rinuncia ai lanci e stai qui con me, ho bisogno di un bravo attendente”. Senza dirci nulla che non ci saremmo mai lanciai su Malta, ci portarono a Tobruc trasformandoci in fanti senza mezzi motorizzati. “Ad El Alamein costruivamo trincee e ci preparavamo a combattere. Il 23 ottobre, alle 20 e 30 circa , i 70 chilometri di fronte si incendiano: vedo un orizzonte di fuoco”.

“Ero capo pezzo del 47/32 il cannone che avevamo in dotazione allora, il mio compito era sparare ai cingoli dei carri armati, per fermarne l’avanzata. Il 4 novembre, dopo che eravamo riusciti a fermare trecento blindati, ci diedero l’ordine di ripiegare. Dovetti seppellire il mio 47/32 , troppo pesante, e ci difendevamo con assalti all’arma bianca e sparando i pochi colpi di fucile rimasti. In uno di questi contrassalti io stavo sparando quando una scheggia di mezzo chilo mi sfiorò, spezzando in due il calcio del mio fucile”.

“Alla cattura ero praticamente in pantaloncini corti : il resto erano brandelli della divisa”.
“Ci ritrovammo da soli in mezzo al deserto un soldato sardo e io: ricordo benissimo che gli ultimi due colpi della mia Beretta li sparai contro due fusti d’acqua abbandonati, per poterli aprire. Poco dopo scorgemmo un autoblindo in arrivo: erano gli inglesi”.

Un australiano, di quelli che ce l’aveva a morte con noi italiani, mi punta la pistola contro. Un tenente inglese fa appena in tempo ad abbassargli la mira: il colpo esplode a terra. E’ stata l’ultima volta che ho rischiato la vita”. Tre anni di prigionia, con due mesi passati a El Alamein a recuperare residuati di guerra.

“Sbarcammo a Bari con la Garibaldi: il 30 luglio 1946 tornavo a casa, a Spessa Po, tra Stradella e Belgioioso.

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