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Pubblicato il 06/06/2021

I PARACADUTISTI DI LECCO SALUTANO IL “LORO” LEONE CARLO MURELLI

L’alba di un “ Leone “



Il buio della notte, spruzzato da una miriade di eterne lucciole, va schiarendo per lasciar spazio ad un tenue barlume di luce che si irradia da levante.
Lo sguazzo fresco della notte riflette la levata del sole e indica il sentiero a colui che sale con passo lento ma determinato e sicuro.
L’Uomo si ferma e osserva, giù, molto più in basso, il rincorrersi dei fari che, ancora avvolti dalle tenebre, veloci corrono a scandire la frenesia del nostro tempo.
Viene chiaro e la gran volta celeste va popolandosi di fugaci cirri che in breve tempo dilegueranno.
Quante volte, tra le Sue montagne, ha già vissuto questi attimi. Pure ogni volta lo spettacolo pare sempre più bello e affascinante.
Da fondo valle, perentorio e festoso, sale il monito delle campane che chiamano a raccolta i fedeli per la Messa Prima.


Spari.
L’arte venatoria consuma il suo rito.

Un attimo, un brivido e il Suo sguardo vaga, scruta nell’infinito spazio e la mente va a posarsi su un remoto punto a Lui famigliare.
La Sua attenzione non è più per tutto ciò che di terreno lo circonda.
I Suoi pensieri volano alto, a ritroso nel tempo, nel settore di Naqb Rala, a quella incredibile notte vissuta sotto un uragano di violenza ad aspettare il balzo della belva ansiosa di ghermire la Sua giovane vita e quella dei camerati che, infossati nelle scomode buche di sabbia, sono come Lui intenti a misurarsi con le proprie debolezze e le maturate virtù.
Polvere, sangue, dolore, sonno, sete, esplosioni, urla, paura, rabbia, angoscia ed altro ancora.
Questo è quanto è racchiuso nell’infernale bauletto a corredo della guerra.
Lui l’aveva aperto e, da sopravvissuto, ne era rimasto segnato.
Di sicuro non lo avrebbe più dimenticato così come, sempre presenti, gli sarebbero stati i ben noti volti e il ricordo di quanti ebbe a lasciare, dormienti, laggiù tra le sabbie roventi di El Alamein.
Questa consapevolezza lo ha spronato per tutta l’esistenza e gli ha permesso di superare i momenti tristi del suo ritorno in Patria, quando il suo stesso popolo, non volendo riconoscere nei reduci i suoi figli migliori, li bollò come criminali, li emarginò, per paura forse dell’esempio che seppero dare prima e che avrebbero potuto dare dopo alle nuove generazioni.

Individualità e coerenza, infatti,sono qualità che coloro che aspirano a grandi traguardi vengono considerate incompatibili con il rispetto per la libertà e la dignità di ogni differente pensiero.
Del resto cosa possono saperne, costoro, di umiltà, abnegazione, dovere, obbedienza, amor di Patria… prigionieri come sono di una società sempre più votata al capitale, alla filosofia dell’apparire, degli status symbol, della frivolezza, piuttosto che dedita all’osservanza di antichi principi quali la coerenza, il rispetto e il sacrificio.
Per capire quanto costi accettare tutto questo bisogna aver provato l’angoscia e la disperazione che ti trasmette lo sguardo di un camerata di vent’anni che ti spira tra le braccia.
Non avrebbero piegato il Suo grande spirito e l’innata goliardia neanche i quarantasei mesi di prigionia trascorsi nei campi di prigionia a cominciare dai Laghi Amari quindi ai 310 – 308 – 306 – 304 – 305 – nel diroccato Hotel Berenice di Bengasi – El Agheila fino al rientro in Patria avvenuto nel settembre del 1946.
Dopo 70 anni, i Suoi ragazzi di oggi, hanno voluto riportarlo sui luoghi della grande battaglia e là, all’ombra del Qaret El Himeimat, ha potuto ritrovare la Sua buca mentre l’emozione iniziale dileguava con il sole all’orizzonte.
Gli hanno anche chiesto il privilegio di essere comandati per gli Onori ai Caduti e ancora una volta, con gli occhi umidi, li ha accontentati.

A sera, coricandosi, gli è di conforto credere di avere bene operato, negli anni di pace, in memoria di chi lo ha preceduto e del Loro supremo sacrificio. Adesso, finalmente, dopo tanto tribolare, una grande quiete ed una infinita serenità si sono impossessate della Sua anima.
E’ una sensazione nuova, sconosciuta e straordinariamente bella.
E poi … di chi è quella voce lontana che, flebile e premurosa, come spesso in passato, lo distrae dai suoi pensieri e lo esorta con dolcezza. Ma certo, è la sua Lina, premurosa come sempre, “ ….. dai Carletto, va avanti ….. manca poco e sei arrivato”.
Con passo più leggero e celere riprende a salire.
Da mezza costa lo vede scollinare e sparire nell’abbagliante riverbero di nevi eterne da cui si leva alto, potente e solenne, a rieccheggiar tra anfratti e gole, il temuto e rispettato grido di sempre
Folgore!

Al grande Mentore della sezione di Lecco i Suoi paracadutisti

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