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Pubblicato il 30/12/2014

LA TRIBUNA DI TREVISO PARLA DI TANDURA, PARACADUTISTA AGENTE SEGRETO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

TRIBUNA DI TREVISO DEL 30 DICEMBRE 2014
VITTORIO VENETO L’ eroe viene paracadutato dietro le linee nemiche dove la sua città natale è occupata. La missione è dare informazioni sulla situazione degli occupanti usando i piccioni viaggiatori. Lui eseguirà anche atti di sabotaggio dietro le linee. Ad aiutarlo vi sono commilitoni fuggiaschi, sua sorella, la sua ragazza, i genitori e perfino chi si ritrova a vestire controvoglia l’uniforme nemica. Dopo tre mesi d’avventure “arrivano i nostri” e l’eroe partecipa agli ultimi combattimenti, seppur debilitato dai postumi di dure condizioni di prigionia e dalla fuga da un treno che doveva portarlo ad un campo di lavori forzati a migliaia di chilometri di distanza. Alla fine, i suoi colleghi ed il comandante dall’altra parte del fronte lo accolgono stupiti: secondo le loro informazioni era già morto. Non è la sintesi di un film hollywoodiano sulla Resistenza durante la Seconda guerra mondiale, ma il riassunto in poche parole dell’esperienza di Alessandro Tandura, giovane combattente di Vittorio Veneto durante la Grande guerra. Una lapide posta sulla sua casa natale in via Caprera ricorda colui che durante la Prima guerra mondiale era un giovane tenente. In quella casa rimase nascosto quando riuscì a fuggire dal treno che doveva deportarlo in Serbia: era molto debilitato dai giorni di prigionia e dai lavori forzati, oltre che dalla “botta” presa saltando dal convoglio in corsa. Dopo la pace è stato lo stesso Tandura a raccontare la sua storia nel libro autobiografico “Tre mesi di spionaggio oltre il Piave. Agosto-ottobre 1918”. L’’eroe di guerra non usa la prosa retorica del fascismo. Il suo patriottismo è al di sopra di qualsiasi dubbio, ma non ha parole d’odio per il nemico. Quasi compatisce i contadini del Vittoriese che, spinti dalla fame, fanno resistenza a consegnargli i piccioni, da loro catturati, che il Comando italiano gli invia per comunicare. Una particolare vicinanza vi è invece per gli” irredenti” . Sono militari austroungarici, di sentimenti e lingua italiana, soprattutto triestini, che collaborano con lui e con alti ufficiali e soldati “alla macchia”. Se scoperti rischiano la pena di morte: come Tandura, che è una spia e si aggira per la Sinistra Piave travestito da contadino. L’allora giovane ufficiale non tace nemmeno sul comportamento di chi aveva responsabilità verso i civili dopo la rotta di Caporetto. Vi erano degli autocarri per portare la popolazione oltre il Piave, ma all’ultimo momento furono però usati per trasportare il materiale di uno stabilimento bacologico. «Così salvarono i bachi e lasciarono qui noi, che non siamo industrializzabili», conclude amara la sorella dell’ufficiale. Tandura si era arruolato volontariamente a 21 anni nel 1914. Durante il confitto, iniziato per l’Italia l’anno dopo, diventa ufficiale. Compie la missione oltre le linee ancora da volontario e per compierla è il primo italiano a lanciarsi con il paracadute. Strumento con il quale non può allenarsi visto l’alto costo a carico del Comando britannico che lo possiede. Sarà decorato con la Medaglia d’oro. Sua sorella e la fidanzata Emma Petterle ebbero invece quella d’argento. Tandura sarebbe poi rientrato nell’esercito nel 1922 e sarebbe morto improvvisamente per un attacco cardiaco da neopromosso maggiore nel 1937 in Somalia, poco dopo aver riabbracciato la neomoglie Emma. I suoi figli Luigino e Dellavittoria furono eroi della Resistenza.

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