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Pubblicato il 27/05/2019

IL GENERALE BERNARDINI A “LA VERITA’ DICE TUTTA LA VERITA’

RASSEGNA STAMPA
Daniele Capezzone
QUOTIDIANO “LA VERITA'” del 27 maggio 2019
«2 giugno, noi soldati costretti alla parata delle ipocrisie»
Il generale Roberto Bernardini: «Giuseppe Conte e alcuni ministri non rispettano l’esercito. ‘Inclusione” e ‘missioni di pace”? Ditelo ai caduti. Servono nuove reclute, a 50 anni non si può fare l’assaltatore».

Continua Roberto Bernardini, generale di Corpo d’armata (riserva), già comandante di vertice delle Forze operative terrestri dell’esercito, ha accettato una conversazione a tutto campo con La Verità sulla situazione della Difesa in Italia, alla vigilia di un 2 giugno che si annuncia inevitabilmente carico di polemiche, dopo la discutibile scelta della ministra Elisabetta Trenta di intitolare la parata al tema dell’«inclusione».
Generale, cosa c’è da «includere»?
«Guardi, mi pare che nessuno voglia arrivare alla sostanza del problema. Lo dico da anni nelle sedi opportune: purtroppo da molto tempo la parata non ha quasi più nulla di militare. Un pezzo alla volta, siamo passati alla Festa della Repubblica, con l’intento di festeggiare le varie componenti della Repubblica. E allora la chiamino ‘sfilata delle componenti della Repubblica”».
Non voglio rigirarle il coltello nella ferita, ma anche quest’anno vedremo crocerossine, tutto il mondo dell’assistenza, con relativo commento giornalistico sulle «missioni di pace»… Ma l’esercito non sarebbe un’altra cosa?
«Bravissime e molto formali le crocerossine. Ma, ripeto, la parata ha ormai ben poco di militare: ci saranno due o tre reparti costretti a sfilare in mezzo ai sindaci. La verità è che la specificità di un’organizzazione come l’esercito andrebbe rispettata: è una componente strategica di uno Stato democratico. E poi questa storia delle ‘missioni di pace”…».
La prego, dica parole chiare su questo linguaggio eufemistico…
«Sono stato Comandante di Vertice delle Forze operative terrestri. In Iraq, Afghanistan e Kosovo, per limitarmi a tre esempi, le nostre missioni erano militari, non altro. Il termine ‘missioni di pace” se lo inventò l’Onu ai tempi della guerra di Corea: da allora, piano piano, in Italia siamo arrivati all’inflazione e all’esasperazione di quel concetto. È tutto un ‘peace-keeping”, ‘peace-building”, ‘peace-enforcing”… Lo dico con autentico dolore: lo vadano a dire ai familiari di chi è coraggiosamente morto laggiù, che erano ‘missioni di pace” con la bandiera arcobaleno».
Ma secondo lei perché – anche culturalmente – c’è tanta resistenza a chiamare le cose con il loro nome? Perché tanti faticano a parlare chiaramente di «soldati» e di «guerra»?
«Bisognerebbe mettere da parte una certa ipocrisia ideologica. Possono esserci ‘missioni di pace”: penso al Libano dove siamo una forza di interposizione. Ma se invece penso a Somalia, Iraq e Afghanistan, è assurdo parlare di ‘pace”. Purtroppo per vari motivi c’è una tendenza a cercare di ‘stemperare” i problemi, a dare sempre una pennellata di bianco, forse per confondere le idee a chi magari non conosce bene le situazioni reali».
Torniamo al 2 giugno e a questa infelice definizione dell’»inclusione». Ma secondo lei la ministra che voleva fare, occhieggiare all’immigrazione o cosa?
«Me lo faccia dire chiaramente. Purtroppo le Forze armate non sono in cima alla considerazione di una buona parte della compagine governativa. Pensi al grave ritardo del decreto Missioni. Pensi al decreto sugli stanziamenti e finanziamenti per gli accordi internazionali (industria aeronautica e congelamento della convenzione per i mezzi terrestri, ecc), annunciato il 19 febbraio e da allora non se n’è più saputo nulla. Pensi al Dpp, al documento di programmazione pluriennale presentato a ottobre e poi tagliato nella legge di bilancio…».
C’è davvero tanta trascuratezza?
«Pensi anche all’obiettivo del 2% di spesa richiestoci dalla Nato. Per avvicinarci, stiamo millantando anche altra spesa generale dello Stato, tipo la spesa per la sicurezza cibernetica. E poi il Primo ministro…».
Che ha fatto Giuseppe Conte?
«Il presidente del Consiglio, per dare una borsa di studio a una Onlus, ha detto una frase tipo: ‘Compreremo cinque fucili in meno”. Mi sorprende che, anche a livello istituzionale, non ci sia stata una reazione. Non intendo una polemica: ma la riaffermazione di un principio. Queste cose non si dicono, i militari che sono tra i migliori servitori dello Stato vanno rispettati, sempre».
Torniamo all’»inclusione» del 2 giugno.
«Ho visto che poi hanno cercato di correggere il tiro. Prima il riferimento era alle minoranze. Poi c’è stato un comunicato del ministero per dire che il riferimento era ai reduci e ai feriti (e questo è giusto), alla riserva selezionata, ai civili della Difesa… Ma lo ripeto: purtroppo non la considero più una parata, un momento di orgoglio di un popolo davanti alle proprie Forze Armate. Me lo faccia dire: siamo ormai a un ‘defilé” dove non tutti sanno mantenere il giusto passo. Per i militari comincia a diventare imbarazzante».
Lei, con eleganza, non lo dice. Introduco io il tema. Non le pare che molti parlino e straparlino di Difesa ignorando i rischi e il coraggio fisico dei militari?
«Eh, qualcuno ha detto che siamo una nazione che si sta ‘smuscolarizzando”. Si finisce per accettare tutto».
A proposito. Cosa pensa dell’episodio del 25 aprile, quando a Viterbo il presidente provinciale dell’Anpi ha di fatto accusato i soldati della Coalizione di cui l’Italia fa parte di aver ucciso più civili che talebani? Il generale Riccò se n’è andato in silenzio. Incredibilmente, la ministra Trenta ha preso una posizione terza e pilatesca tra i due…
«Quella dichiarazione mostra un’assenza di strategia. Si vive alla giornata… Quanto al generale Riccò, lo conosco, è un pilota di elicottero come me, persona equilibratissima, se ha ritenuto di andarsene lo giustifico. Difficile dire cos’avrei fatto io. Forse in deroga al protocollo avrei chiesto al Prefetto di prendere la parola, anzi lo avrei fatto sicuramente, non certo per polemizzare, ci mancherebbe, ma per chiarire e affermare con fermezza che le cose dette non corrispondevano al vero, e che i militari, per quello che rappresentano e per quello che fanno, meritano il sincero rispetto di tutta la nazione».
Veniamo a un altro tema doloroso. Il cosiddetto «dual use». Il ministero vuole sempre più farvi fare un altro mestiere?
«Guardi, i militari si sono sempre prestati nelle emergenze: pensi al terremoto del Friuli. È chiaro che, con l’addestramento che ha, l’esercito possa fare molte cose. Così come può andar bene parlare di ‘dual use” per i materiali: ad esempio, una stessa piattaforma di elicotteri utilizzabile con poche modifiche sia in sede civile che militare. Questo va bene. Ma parlare invece di soldati ‘dual use” non sta né in cielo né in terra».
Spieghiamolo bene.
«Pensi all’operazione Strade sicure: va avanti da più di 10 anni. E poi le buche di Roma, la spazzatura… Sostenere che i soldati debbano occuparsi prioritariamente di queste cose è altamente offensivo. L’esercito, invece, va tenuto pronto e addestrato per le funzioni che gli sono proprie. Consapevole di questa prioritaria esigenza, il Capo di Stato maggiore Salvatore Farina, ottimizzando le risorse disponibili, ha promosso un incremento delle attività addestrative finalizzate alla Difesa collettiva e a operazioni in ambienti complessi, che sono il ‘core business” della Forza armata. Ma in quest’ottica di vera operatività occorre procedere ad un radicale ringiovanimento degli organici. E poi non dimentichiamo che i ragazzi si arruolano perché vogliono fare il soldato, non solo attività complementari come ad esempio la pur utilissima guardia davanti alle ambasciate. Con l’addestramento e solo con esso si formano i soldati e si assicura la loro operatività».
Anche perché – rispetto alle funzioni militari – c’è un problema di invecchiamento che incombe.
«Appunto. Il tema è il mancato rinnovamento delle classi d’età. Nel 2014 feci fare una ricerca, uno studio sulle motivazioni dei militari di truppa. Emergeva che l’invecchiamento dei volontari in servizio permanente (oggi siamo a un’età media di 37 anni) comportava un prevedibile calo di motivazioni… Se hai moglie e figli e hai 45 o 50 anni, non puoi fare l’assaltatore».
Quindi bisogna riaprire gli arruolamenti?
«Ma certo. Chiudere i reclutamenti è stato un errore. Il tema dell’arruolamento è strategico: è sbagliato decidere anno per anno. Le decisioni prese oggi si riverberano sugli anni successivi. Esattamente come per gli armamenti, dovrebbe trattarsi di decisioni su base decennale o addirittura ventennale, senza interruzioni, dietrofront e capovolgimenti».
Qualcuno – che ama fare l’avvocato del diavolo – vi dà totalmente ragione nel merito di queste critiche, ma vi rimprovera di dire queste cose solo ora, al termine di una prestigiosa carriera.
«Tanti di noi, io fra questi, queste cose le hanno dette in epoca non sospetta, e pagando sempre di persona. Certo, le abbiamo dette nelle sedi opportune, nei fori appropriati. Il problema è l’ascolto che una parte della classe politica vuol concedere. Sa cosa diceva Churchill?».
Prego.
«Quel suo noto aforisma: ‘L’esercito se viene abbandonato si adombra…”. Ecco, vorrei lanciare un appello alla classe politica: le Forze armate non si trovano sullo scaffale di un supermercato quando servono, vanno curate e alimentate costantemente».
Vede forse dei Churchill in giro?
«Ma almeno ricordiamo a tutti quello che diceva…».

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