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Pubblicato il 11/10/2017

IL GENERALE CHITI DALLA RSI AGLI ALTARI

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Gianfranco Chiti è un Militare, ufficiale superiore dei Granatieri, che a breve sarà innalzato al rango di Beato.
Nacque il 6 maggio 1921 a Gignese e a 15 era già entrato nella scuola militare a Roma.
Dall’ottobre 1941 al maggio 1943 combatté sui fronti croato, greco e russo. Ricordava così quegli anni:

“Quando, durante la ritirata, vedevo i corpi dei miei giovani compagni riversi senza vita, mi veniva l’istinto di inginocchiarmi e baciarli, perché morivano per le colpe di altri, perché erano stati strappati alle loro famiglie, portati in territori lontani a morire. Vedevo in loro l’immagine del Redentore, perché la guerra è effetto dei peccati del mondo.

Quando ci incontravamo con gli altri, i nemici, non con le armi in pugno, fra noi non c’era né odio né violenza, ma rispetto, desiderio di aiutarci. Come saremmo ritornati vivi in Italia se non avessimo ottenuto l’aiuto delle donne russe, che ci hanno dato da mangiare quel poco che gli era rimasto, probabilmente perché nei nostri volti vedevano i volti dei loro figli e dei loro mariti che stavano dall’altra parte?”

Fu in quei momenti di grande sofferenza, in cui cercò con ogni mezzo di far sopravvivere i soldati di entrambe le parti, che nacque in lui il desiderio insistente di entrare nell’Ordine dei Cappuccini.

L’8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana (RSI). Per questa scelta, alla fine del conflitto venne internato e giudicato nei campi di concentramento di Coltano e Laterina, ma nel 1946 la commissione istituita per giudicare i militari della RSI lo assolse. Il comandante Chiti aveva sempre agito tenendo fede al giuramento fatto. Molti partigiani e civili deposero a suo favore. Padre Flavio Ubodi, vice-postulatore della sua causa di canonizzazione, ha ricordato che grazie al suo grado nella RSI Chiti riuscì a salvare centinaia di persone, impedì delle retate e si oppose alla distruzione di intere località.

Nel 1944 salvò più di 200 partigiani dal fucilamento reclutandoli in un corso speciale che non era mai esistito nella sua compagnia di Granatieri, li “preparò” e poi li fece tornare alle proprie case. Il suo nome figura anche nel “Libro dei Giusti” della Sinagoga di Torino per aver salvato alcune famiglie ebree. Una testimonianza importante su di lui ha affermato che “il tenente Chiti riuscì a salvare il figlio del poeta Giulio Segre prendendolo sotto la propria protezione, ben sapendo che era ebreo e senza curarsi delle difficoltà e delle opposizioni avanzate dai suoi superiori”.

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