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Pubblicato il 21/02/2018

IL SERVIZIO MILITARE OBBLIGATORIO: UN RITORNO AL PASSATO? del gen c.a. ( aus) GIORGIO BATTISTI

IL SERVIZIO MILITARE OBBLIGATORIO: UN RITORNO AL PASSATO?

Ai margini dell’attuale vivace campagna elettorale in previsione delle consultazioni del 4 marzo 2018 alcuni gruppi politici hanno proposto il ripristino del servizio militare obbligatorio.
Il tema è stato anche oggetto di una conferenza stampa organizzata recentemente a Milano dalle Associazioni Nazionali Alpini, dei Bersaglieri e del Fante.
L’iniziativa ha ricevuto un certo interesse mediatico e politico, limitato tuttavia a commenti ironici e di critica, senza voler approfondire, seppur in parte, la proposta.


Sottolineo, preliminarmente, che limitandosi alla sola Europa, sono ancora numerosi i Paesi che hanno in vigore una forma di servizio militare obbligatorio. L’anno scorso, a causa della complessa situazione geopolitica in Europa nord-orientale, è stato reintrodotto in Svezia. Ma anche altri Paesi che si trovano in contesti non per forza problematici lo hanno da sempre in vigore: Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Norvegia, sono le Nazioni che, con modalità e durata diverse, lo prevedono ancora. La Svizzera vi aggiunge la peculiarità dei “corsi di ripetizione annuali”, che anche dopo l’adempimento del servizio propriamente detto, impegnano il cittadino a tenersi aggiornato con richiami di tre settimane all’anno.

Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e della Francia, Emmanuel Macron, hanno più volte espresso analogo intendimento.
Il presidente francese, in particolare, è andato ben oltre una semplice dichiarazione d’intenti ed ha annunciato in questi giorni – mantenendo fede a quanto promesso in campagna elettorale – il suo progetto di reintroduzione di una sorta di servizio militare obbligatorio, abolito nel 1997, chiamato “servizio nazionale obbligatorio e universale” con una durata variabile da 3 a 6 mesi.

Durante il governo Berlusconi, il Ministro della difesa pro-tempore Ignazio La Russa aveva introdotto la cosiddetta “mini naja”. Corsi di formazione estivi di cui si fece carico l’Associazione Nazionale Alpini allo scopo di fornire ai giovani una minima formazione para-militare, abituandoli a vivere in gruppo, lontani dalle comodità dell’ambiente domestico e dei contesti sociali in cui sono inseriti. Il governo Renzi aveva preso in esame l’ipotesi di un “servizio civile nazionale universale”, ritornata ora alla ribalta con il governo Gentiloni, sempre su base volontaria.


Ma quali possibilità può avere il ritorno al servizio militare obbligatorio, che ha avuto un ruolo fondamentale per l’Italia, sia in pace sia in guerra, dall’Unità (1861) fino alla “caduta del muro” di Berlino (1989), cosi come era strutturato sino al 1995?

Ritengo che il “servizio militare di leva”, nato dalla Rivoluzione Francese per la difesa dei confini politici nazionali, oggi non possa più trovare realizzazione, in quanto non sarebbe in grado di soddisfare le esigenze provenienti da Forze Armate moderne capaci di confrontarsi alla pari con gli altri Eserciti occidentali.
La motivazione preminente risiede nel fatto che l’ambito di intervento si estende (o si dovrebbe estendere) geograficamente sino a ricomprendere le aree di interesse nazionale e, quindi, ben oltre le frontiere fisiche-politiche di uno Stato. Per poter garantire questa esigenza servono Forze Armate costituite da professionisti, addestrati ad agire nei più diversi scenari operativi, utilizzando equipaggiamenti sempre più sofisticati.

Le mutate esigenze di sicurezza in ambito internazionale impongono in modo sempre più frequente e diversificato forme di concorso alla stabilizzazione di regioni caratterizzate da profonde crisi interne e hanno richiesto un radicale cambiamento nella preparazione e addestramento delle Forze Armate, chiamate a intervenire in collaborazione con altri eserciti in aree geografiche difficili e contraddistinte da rischi elevati.
Questo ha reso necessario il passaggio a Forze Armate costituite da soli militari volontari che hanno scelto consapevolmente e liberamente il mestiere delle armi.
La formazione prevista dall’anno di leva (ridotto poi ad alcuni mesi) non avrebbe più garantito di fronteggiare le esigenze di una realtà in continua evoluzione umana, tecnologica e operativa.


In secondo luogo, pur in presenza di una volontà politica condivisa, lorganizzazione della Difesa non dispone delle risorse e delle capacità per reintrodurre un modello simile a quello in atto sino al 1995 con il servizio militare obbligatorio, per carenza sia di infrastrutture (caserme), di equipaggiamenti, di personale d’inquadramento, sia in termini di capacità sanitarie.

Discorso in parte diverso, invece, potrebbe farsi quanto alla creazione di un Servizio di Difesa Nazionale (SDN) obbligatorio della durata di alcuni mesi, a inquadramento militare, rivolto a tutti i cittadini dai 16 ai 26 anni di età residenti su territorio nazionale, che risultino idonei sotto il profilo psico-fisico.
Il SDN dovrebbe assorbire il “Servizio Civile Nazionale”, istituito con L. 64/2001 su base volontaria, ed essere rivolto esclusivamente ad attività di pubblica utilità a favore della società (assistenza, tutela ambientale ambiente, educazione e promozione culturale, patrimonio artistico e culturale, ecc.) ed a interventi di protezione civile a favore della popolazione in caso di calamità naturali o disastri provocati dall’uomo.

Lo scopo del servizio sarebbe quello di rafforzare il senso di appartenenza al Paese, ma anche di imparare disciplina e rispetto per le regole della società e della vita di gruppo, e contribuire cosi alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani, come affermato anche dal presidente francese Macron (punto di riferimento per molti politici italiani).


Tutto questo consentirebbe di riportare a galla importanti valori per le giovani generazioni, primo fra tutti quello di porsi al servizio di una società della quale sono parte integrante, incarnando il suo futuro. I giovani d’oggi sono bravi ragazzi: curiosi, aperti agli insegnamenti e agli esempi positivi. Hanno bisogno di una guida onesta e sincera e di persone che sappiano trasmettere loro i giusti valori, soprattutto con la forza dell’esempio morale, intellettuale e pratico.
Secondo il “30° Rapporto Italia”, pubblicato a gennaio 2018 dall’Istituto Eurispes, il 67,8% degli Italiani (7 su 10!) è favorevole al ritorno dell’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole.
Lo stesso sondaggio ci informa anche che nella graduatoria della fiducia degli Italiani verso le istituzioni svettano proprio le Forze Armate, con un consenso che si attesta intorno al 70%, a testimonianza della fiducia che i cittadini ripongono verso le istituzioni militari e i loro valori fondanti, come modello cui ispirarsi.

Ovviamente, è imprescindibile la piena condivisione del progetto a livello interministeriale (Difesa, Interno, Economia, Lavoro, Educazione, Sanità, ecc.) al fine di scongiurare resistenze più o meno esplicite capaci, come spesso accade, di bocciare iniziative parimenti meritevoli e fondate.
Tale condivisione interministeriale consentirebbe di individuare le risorse finanziarie necessarie, di usufruire del Servizio Sanitario Nazionale (visite mediche) e di avvalersi delle strutture didattiche pubbliche per le attività propedeutiche (e.g. alternanza scuola-lavoro).

È bene chiarire in modo deciso che il SDN non può essere assimilato al precedente servizio militare obbligatorio, strumento oramai obsoleto, e deve piuttosto essere visto (e conseguentemente veicolato) come un’occasione di avviamento professionale che, attraverso specifici incentivi e agevolazioni, favorisca l’inserimento nel mondo del lavoro, pubblico e privato, e in tutto il vasto settore della difesa e della sicurezza, mediante l’attribuzione di un titolo di preferenza (es. un punteggio incrementale in un concorso pubblico).


Lo stesso Servizio nazionale non deve, inoltre, essere visto in contrapposizione/sostituzione alle Forze Armate basate su personale professionista volontario, che continueranno ad assolvere i compiti istituzionali attualmente previsti. I nostri soldati volontari, infatti, sono la risorsa più importante delle Forze Armate. Sono professionisti preparati, motivati e dotati delle più moderne tecnologie: essi sanno essere determinati quando serve, sempre disponibili ad aiutare i più deboli, pronti all’uso delle armi quando la situazione lo richiede. Nei Paesi e nelle missioni dove ho operato ho sempre constatato una grande dimostrazione di rispetto verso le nostre Forze Armate. Questo è un fatto che mi ha fatto sempre sentire orgoglioso di essere Italiano all’estero: ai nostri militari sono riconosciute competenza e capacità.
I militari professionisti potranno invece essere sostituti nelle attività in Patria meno professionali e specialistiche, come le attività di concorso in occasione di eventi naturali (rimozione macerie, riempimento sacchetti a terra, ecc.) o problemi urbani (rimozione immondizie, vigilanza nella “terra dei fuochi”, ecc.), e dedicarsi esclusivamente ai compiti istituzionali tipici di una qualsiasi Forza Armata: prepararsi per difendere il proprio Paese e tutelare gli interessi nazionali!

L’addestramento dovrebbe essere svolto nell’ambito regionale, sotto la direzione e il controllo militare, con il concorso sistematico delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma e, salvo l’indottrinamento iniziale comune (1 mese per l’amalgama), senza vincoli di alloggio in strutture specifiche, così da ridurre i costi e l’impatto sociale.
Con ogni evidenza, una formazione completa di questo tipo non può durare meno di sei mesi e potrebbe essere implementata anche attraverso richiami brevi e scaglionati nel tempo (anche nei fine settimana), in luogo di un unico periodo, per non incidere sulla vita dei giovani.

L’addestramento, inoltre, dovrebbe essere concentrato prioritariamente su funzioni di soccorso, protezione civile, procedure di sicurezza e uso basilare delle armi, garantendo comunque la preparazione di base nel caso (assai improbabile ma teoricamente non impossibile) di una mobilitazione generale causata da una grave crisi internazionale che imponga il ripristino del servizio di leva (la Svezia ha reintrodotto il servizio obbligatorio, abolito nel 2010, per tale ragione).
L’Alternanza scuola-lavoro (200 ore), obbligatoria per tutti gli studenti e le studentesse degli ultimi tre anni delle scuole superiori in base alla legge n. 107 del 2015, potrebbe essere il momento iniziale di formazione con l’insegnamento dell’educazione civica e di altre nozioni fondamentali funzionali al progetto.

Per soddisfare le varie esigenze, e tener conto dello spirito antimilitarista di una parte dell’opinione pubblica, i giovani potranno essere indirizzati, dopo il periodo iniziale comune, al servizio civile o militare, a seconda delle proprie aspirazioni e condizioni psico-fisiche e per evitare sospetti di eccessiva militarizzazione della società.

Da non dimenticare, infine, la possibilità di effettuare lo screening sanitario sistematico della popolazione giovanile, come avveniva in passato, circostanza che fornirebbe un quadro medico generale utile ai fini della prevenzione, diagnosi precoce e cura di varie malattie, perseguendo gli obiettivi di miglioramento delle condizioni di vita e creazione di risparmi per la sanità pubblica negli anni a venire.

Posta in questi termini, l’introduzione del Servizio di Difesa Nazionale assumerebbe i contorni di un servizio ausiliario allo stesso tempo moderno e in continuità con le tradizioni. Un servizio in grado di rispondere a una necessità educativa ben avvertita dalla popolazione, avvicinare i cittadini alle istituzioni e fornire quelle capacità basilari per la gestione delle emergenze e degli interventi di pubblica utilità. Così posto, ben venga!!

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