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Pubblicato il 14/01/2015

IN ITALIA I TERRORISTI AGISCONO GIA’ INDISTURBATI CON ATTENTATI E PESTAGGI SCAMBIATI PER RISSE

ESPRESSO
sezione: ATTUALITA data: 15/1/2015 – pag: 48

Il Jihad si fa in Italia

La Digos ha ricostruito decine di attacchi contro cristiani siriani in Lombardia tra il 2011 e il 2012. Ma gli aggressori sono partiti per la guerra
DI PAOLO BIONDANI

Un piccolo spezzone della guerra civile siriana si è combattuto in Italia. Ma era ancora troppo presto per capirlo. È successo tra il 2011 e il 2012, in quella manciata di mesi cruciali che hanno segnato l’inizio della proteste popolari contro il presidente-dittatore Bashar Al-Assad, la sanguinosa repressione scatenata dal regime, il passaggio di molti rivoltosi alla lotta armata, la progressiva crescita delle milizie jihadiste più violente. In quei mesi le forze di polizia di tutti i Paesi occidentali hanno cominciato a sorvegliare le partenze degli estremisti verso il fronte siriano

A Milano la squadra anti-terrorismo della Digos ha avviato indagini, in particolare, su un gruppo di siriani residenti da anni in Lombardia: spariti dall’Italia, sono ricomparsi, mitra in pugno, in una serie di foto e video pubblicati sui siti Internet. Solo allora la nostra polizia ha scoperto che quegli stessi jihadisti avevano colpito anche a casa nostra.
Nei rapporti consegnati alla Procura di Milano a partire dal 2012 vengono elencate più di venti azioni violente commesse tra i dintorni di Milano e il centro di Roma: aggressioni, pestaggi, danneggiamenti, devastazioni, minacce, ferimenti. Le vittime appartengono alle minoranze politico-religiose che i guerriglieri jihadisti considerano, a torto o a ragione, schierate con Assad: violenze che in Italia hanno colpito soprattutto cristiani. L’unica azione visibile si è svolta nella notte del 10 febbraio 2012 nel centro storico di Roma. Un plotone di siriani ha dato l’assalto all’ambasciata di Damasco, situata a pochi passi dal Campidoglio, urlando slogan contro il dittatore Assad. Il blitz, organizzato con tecniche da commando, ha permesso agli oppositori di impadronirsi della sede diplomatica, dove hanno sfasciato gli arredi, bruciato le bandiere del regime, vergato insulti sulle pareti, lanciato in strada dalle finestre i ritratti dell’odiato presidente. La polizia di Roma ha poi arrestato dodici siriani. Molti di loro risultavano da anni residenti tra Milano e la Brianza. Ricevuta la denuncia, la Digos di Milano ha chiesto ai magistrati della Procura di tenerli sotto sorveglianza, per capire se facessero parte di un’organizzazione strutturata. L’intuizione si rivela esatta: i primi mesi di indagini svelano che gli assaltatori dell’ambasciata fanno effettivamente parte di un gruppo di reclutatori per la Siria. Sono tutti sunniti di tendenza salafita, l’ideologia più reazionaria ed estremista. Ma si sono radicalizzati in tempi recenti, dopo aver vissuto e lavorato per anni in Italia, tra le province di Milano, Como Monza, sempre in regola con i permessi, senza infrangere la legge. Fino a tre anni fa, tra i siriani d’Italia, non c’erano mai stati problemi di violenza settaria. Sunniti, alauiti e cristiani si frequentavano pacificamente, incontrandosi senza problemi negli stessi locali. Tra i ritrovi più affollati c’era un bar di Cologno Monzese, gestito da due fratelli siriani di fede cristiana. All’inizio dell’estate 2011, il primo agguato sembra una stupida rissa da bar. Un cliente abituale del locale, che è di famiglia alauita come il dittatore, viene insultato da un altro siriano, che lo accusa di sostenere Assad e poi gli spruzza negli occhi dello spray urticante. Uno dei baristi si accorge che altri dieci esagitati lo stanno circondando. A quel punto interviene e riesce a sottrarlo al pestaggio. La sera del 16 luglio 2011 proprio quel bar viene preso d’assalto da oltre trenta uomini armati di bastoni e spranghe: parlano in arabo, accusano i due baristi di sostenere il regime. I due cristiani scappano. Il locale viene devastato. Il raid ha una finalità intimidatoria: la stessa sera, infatti, a Milano era in programma una manifestazione (che si è svolta pacificamente) a favore di Assad. Pochi giorni dopo, i due fratelli trovano appeso alla saracinesca un foglio con una scritta in arabo: «Per tutti i siriani: quelli che sono a favore del presidente devono stare attenti. In Siria ci penseremo noi. Quelli che ammazzano nel jihad, vivono con Dio». Nella primavera 2012, dopo aver subito altre intimidazioni (soprattutto telefonate con minacce di morte), i due baristi trovano le loro auto completamente distrutte.Terrorizzati, non denunciano nessuno: cedono la gestione del locale e si trasferiscono. La stessa notte un altro siriano, che vive da anni pacificamente nell’hinterland, partecipa alla fiaccolata del 16 luglio 2011 a favore di Assad nelle vie di Milano. Tornando a casa con la sua Mercedes, si ferma in un piccolo supermercato per compare cibarie insieme a un connazionale. Uno è cristiano, l’altro alauita, ma non hanno mai fatto politica e i loro amici più cari sono sunniti. Davanti al negozio, si vedono circondare da almeno 15 picchiatori, che li colpiscono con spranghe di ferro, dopo aver distrutto l’auto. Mentre la squadraccia si accanisce sul cristiano, l’alauita riesce a telefonare ai carabinieri, che mettono in fuga gli sprangatori. I due feriti vengono portati al San Raffaele: il cristiano ha una gamba spappolata e viene operato più volte nei mesi successivi. Ai medici non denunciano nulla. Solo agli amici più stretti confidano che, quella notte, «i siriani anti-Assad volevano ammazzarci: ci hanno salvato i carabinieri». Quando esce dall’ospedale, l’alauita non torna al lavoro: va a vivere in Veneto. Le indagini della Digos hanno incasellato in questa cornice di guerra siriana una lunga serie di violenze commesse anche in altri comuni dell’hinterland tra l’autunno 2011 e la primavera 2012. A una spedizione punitiva è sfuggito perfino un siriano sunnita, che lavora da oltre un decennio come impiegato in una ditta brianzola: musulmano praticante, pregava nella moschea milanese che si richiama alla Fratellanza Musulmana, il partito religioso che in quei mesi era salito al potere in Egitto. Quando però gli imam milanesi si sono schierati contro la lotta armata, mettendo al bando le sette jihadiste dalle moschee, l’ala dura dei salafiti siriani ha accusato di «immobilismo, codardia e apostasia» tutta la Fratellanza Musulmana. A quel punto anche il religioso sunnita ha cominciato a ricevere minacce anonime di morte: «Sei un traditore…. Ti uccideremo a coltellate… Ti sgozzeremo come un cane». Il 14 maggio 2012, mentre faceva la spesa con sua moglie nel supermercato Esselunga di San Maurizio al Lambro, l’impiegato siriano è stato minacciato in pubblico da tre jihadisti: «Ti ammazzeremo. E violenteremo tua moglie». Mentre la donna scoppiava a piangere, sono intervenuti dei cittadini italiani, che hanno chiamato i carabinieri mettendo in fuga gli estremisti. Dopo mesi di indagini, la Digos ha smascherato gli esponenti più violenti del gruppo jihadista milanese. Ma a quel punto erano già partiti tutti per la guerra in Siria, tra febbraio e luglio del 2012. In almeno cinque casi è stato ricostruito il loro viaggio verso il fronte. Uno dei più feroci è stato identificato in due video-choc, girati in Siria nel maggio 2012 (e poi scoperti da un fotoreporter italiano della Rai): con il mitra a tracolla, si è fatto riprendere con un plotone di uomini armati, mentre uccidevano con un colpo alla testa sette prigionieri di guerra, legati e torturati.

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