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Pubblicato il 02/08/2019

INSUBORDINAZIONE IN SERVIZIO: PUNITO ANCHE IN CASSAZIONE IL SOTTUFFICIALE CHE AVEVA INSULTATO UNA TENENTE DI VASCELLO

Corte di cassazione – Sentenza 1° agosto 2019 n. 35385

La Prima Sezione penale della Cassazione, sentenza n. 35385 del 1 agosto, ha respinto il ricorso di un sottoufficiale della Marina Militare condannato nel 2017 dalla Corte di appello militare di Napoli a 13 mesi di reclusione (pena sospesa e non menzione) per “insubordinazione con violenza pluriaggravata “e “insubordinazione con minaccia pluriaggravata” ai danni di un Sottotenente di Vascello donna.
il giorno della vigilia di Natale del 2014 , le parti erano imbarcate su una nave in navigazione al largo di Lampedusa. I reati consistevano «nell’afferrare con forza il braccio sinistro» dell’ufficiale, «spingendola con violenza, tanto da farla finire al di là della porta taglia-fiamme del locale in cui si trovavano, con le aggravanti del grado rivestito e dell’aver commesso il fatto a bordo di una nave militare». Il secondo, nell’essersi avvicinato a pochi centimetri dal superiore prospettandole ritorsioni «qualora avesse deciso di procedere disciplinarmente nei suoi confronti». E dicendole, alzando il tono della voce, «ti spacco il culo».
Il sottufficiale ha visto respinto il ricorso dalla Cassazione perchè . , dice la sentenza, «ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del reato militare di insubordinazione con minaccia è sufficiente il dolo generico, e cioè la consapevolezza dell’uso della minaccia, non richiedendosi anche l’intenzione di mettere in pratica il male minacciato». «Sedimentato è poi – aggiunge la Corte – l’approdo secondo cui anche il reato di insubordinazione con violenza è sorretto da dolo generico».
Riguardo infine l’applicazione del 131 bis del codice penale, la sentenza ricorda che non può essere dedotto per la prima volta in Cassazione se la disposizione «era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello». Tuttavia, dice la Cassazione, la Corte di appello militare ha compiuto in via ufficiosa la verifica della sussistenza o meno della causa di non punibilità e l’ha esclusa «evidenziando l’emersione di una pluralità di indici contrari: la significativa gravità dei reati commessi dall’imputato, in connessione con la duplicità delle condotte offensive della disciplina militare e anche in relazione agli ulteriori beni giuridici – l’incolumità fisica e la libertà morale della persona offesa – pregiudicati, e soprattutto al contesto in cui i fatti erano avvenuti, ossia una nave in corso della navigazione, nonché le modalità con cui i reati erano stati commessi». Le condotte dell’imputato «avrebbero potuto avere ripercussioni sulle stessa operatività e sicurezza dell’unità navale (la natura plurioffensiva del reato militare di insubordinazione, lede nel contempo il principio di autorità militare e la fisica incolumità, nell’insubordinazione con violenza, o la libertà morale, nell’insubordinazione con minaccia, della persona del superiore gerarchico».

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