OPINIONI

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Pubblicato il 02/02/2016

LA MARINAIA CHE HA SBAGLIATO LAVORO

il Dente Avvelenato

Un Ufficiale di Marina deve avere sbagliato lavoro e l’ANSA la premia: addestrata nelle Forze Armate, dimostra una forte vocazione ad andare nella croce rossa, per quello che dichiara e che le lasciano fare. Hanno addirittura girato un film con Lei protagonista che guarda all’orizzonte, comanda un equipaggio maschile e va in cerca di clandestini da salvare ( quelli di colore, che provengono da paesi con uno sviluppo superiore di 5 volte al nostro, ndr) . La Marina -lo avrete capito- , sa che per cambiare le sue navi deve piacere ai media e alla gente ( talvolta isterica e plagiata); deve dimostrare di essere indispensabile e che le navi le servono per “salvare vite”. Infatti ne ha ordinate di nuovissime, allestite – lo ha detto il Capo di Stato Maggiore ammiraglio De Giorgi- come ospedale, mentre già le portaerei nazionali servono per provare moto, auto, oppure per andare in giro a fare i mercati o per giocare al piattello ( campionati italiani disputati a bordo della Garibaldi o della Cavour, non ricordo). Così ingannano il tempo, i nostri marinai, negli intervalli tra un recupero da scafisti e l’altro. Quando non ci sono partorienti a bordo: in tal caso si scatena l’emozione e l’intero equipaggio abbandona ogni mansione e va a farsi la foto con la simpatica bambina nigeriana o somala, o gambiana o congolese. La Marina li appoggia, li incoraggia, ne è orgogliosa.
Leggete cosa scrive l’ANSA stamani, definendola “STORIA DI SUCCESSO”. Sembra più la dichiarazione di intenti di una brillante aspirante crocerossina: tutto ciò di cui parla non c’entra nulla con il “lavoro” di un Ufficiale della Marina Militare, che dovrebbe difendere le coste italiane da “visitatori” senza documenti che si mettono in mare pagando cifre che nel loro paese gli farebbero aprire un negozio. Proporrei di mandare i nostri aspiranti eroi in Australia, dove il ruolo militare della Marina è assai chiaro, oppure vorrei fargli vedere dove finiscono i loro “salvati”, in quale stazione ferroviaria, edificio in disuso oppure in quale campo di pomodori a raccogliere ortaggi a 10 euro al giorno ( di 12 ore) o in quale albergo a 4 stelle a nostre spese, a 33 euro al giorno + 2,50 per le sigarette.


“Credo nel lavoro che faccio. Il mio compito è di salvare vite, il maggior numero possibile, e lo faccio con convinzione e al meglio”. Catia Pellegrino è stata il comandante della nave Libra della Marina Militare. Per l’esattezza, il primo comandante donna di una nave della Marina Militare, a capo di un equipaggio tutto al maschile. Nella primavera del 2014, a seguito dell’ennesimo salvataggio di migranti nel Canale di Sicilia, di lei hanno parlato i giornali, la televisione, la radio. E unop sceneggiato della Rai, “La scelta di Catia – 80 miglia a sud di Lampedusa”, ha narrato i mesi della missione Mare Nostrum. “Lo sforzo della Marina Militare è stato grande, e quello che abbiamo realizzato con Mare Nostrum è sicuramente superiore a quanto si era fatto prima“, ha detto a chiunque le chiedesse della sua esperienza. Raccontare i salvataggi è difficile. “Quando ci avviciniamo a queste imbarcazioni il mio compito è quello di essere il comandante: affronto la situazione certamente con un occhio umano ma soprattutto con lo sguardo di chi deve gestire tutto, deve fare in modo che nessuno si faccia male, deve salvare più vite possibili”. Le emozioni arrivano dopo, quando tutto è finito. Quando li hai salvati. E per farlo bisogna prima coordinare una motovedetta, tre elicotteri in volo, un aereo, e le decine di mezzi in arrivo una volta individuati i disperati. Di sé dice questo: “Sono Catia Pellegrino, ufficiale, tenente di vascello. Mi sono sempre impegnata e ho sudato per raggiungere gli obiettivi che mi ero posta, e non ho smesso di impegnarmi fino a quando non ho realizzato i miei sogni”. Voleva arrivare al vertice, e ha lavorato per avere quello che più di ogni altra cosa desideravo: “Comandare un pattugliatore, nave Libra o una delle altre tre navi gemelle”. Su nave Libra gli imbarcati sono stati quasi 3.000.
Alcuni, una volta in salvo, avevano voglia di parlare, di conoscere i loro eroi e raccontargli la loro storia. Altri preferivano il silenzio. Conoscerli è stato conoscere qualcosa in più della vita. Emozionarsi. È capitato anche a Catia Pellegrino, ufficiale, tenente di vascello: “Una volta una mamma mi ha mostrato la sua bambina dicendomi “new baby”, appena nata, e aveva un sorriso talmente sereno, era contenta perché era in salvo a bordo della nave. Mi ha detto: “Grazie, tu ci hai salvato”, e sentirlo dire è stato bellissimo”.

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