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Pubblicato il 08/05/2018

LA NUOVA SARDEGNA: IL GIORNALISTA CAZZULLO NON RICORDA LA BRIGATA SASSARI

la Nuova Sardegna DEL 7 Maggio 2018

Quale nipote di un nonno caduto nel 1918 sul Piave ho sentito l’obbligo di leggere l’ultimo dei libri nati all’ombra del centenario della Grande Guerra: «La guerra dei nostri nonni» di Aldo Cazzullo. Della fatica di Cazzullo colpisce l’impressionante excursus sulle atrocità compiute dalle truppe imperiali prima e dopo Caporetto, nonché la dovizia di dati statistici riguardanti le Forze Armate e le popolazioni veneto-friulane.

L’analisi dell’epilogo vittorioso della guerra pone infine in luce il valore dei “nostri nonni”, ma … ma, come mi aspettavo, ho trovato i puntuali attacchi agli ufficiali in genere (e ai generali in particolare) ma soprattutto non ho trovato riferimenti alla Sardegna e alla Brigata “Sassari”. Spero di essere capito se, come nipote di Giuanniccu Loddo, nonché come primo comandante sardo della “Sassari”, esprima la mia delusione. Alla “Sassari” in verità viene dedicata una riga del libro, a pagina 192: «La Trincea delle frasche fu presa dalla brigata Sassari il 14 novembre 1915».Stop. Tutto qui.

Mi sarebbe piaciuto leggere almeno che per quella vittoriosa azione, che portò alla conquista anche del poderoso trinceramento dei “Razzi”, la Brigata “Sassari” fu la prima unità dell’Esercito a essere citata nei bollettini del Comando Supremo e l’unica ad avere le bandiere dei suoi due reggimenti decorate ciascuna con due Medaglie d’Oro al Valor militare. E perchè non dire che i caduti sardi in combattimento furono 136 su mille, a fronte di una media nazionale di 104; che su una popolazione di poco più di 800.000 sardi 108.000 uomini furono chiamati alla armi; che l’ultimo reparto a proteggere la ritirata di Caporetto fu il battaglione guidato da Musinu della “Sassari”, quello che superando il Piave a Ponte della Priula irrise agli austriaci inseguitori rendendo gli onori, a passo di parata, al gruppo dei generali “cattivi” che aspettavano quell’estrema retroguardia sarda prima di far saltare il ponte.

Mi sarebbe piaciuto anche un cenno al discorso pronunciato alla Camera il 16 giugno del 1918 dal presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando: “Quando vidi quei valorosi della Brigata Sassari, sentii l’impulso di inginocchiarmi dinanzi a loro … L’Italia ha contratto un grande debito di riconoscenza verso la nobile Isola, e questo debito onorerà” (il giorno prima Nitti aveva detto: “…la Sardegna è la Regione che ha dato il maggior numero di combattenti, che ha il maggior numero dei decorati e la minore percentuale di imboscati”). Avrei voluto leggere anche le parole indirizzate a Vicenza da Diaz ai soldati della “Sassari” all’indomani della riconquista dei “Tre Monti” sull’Altopiano di Asiago, prima vittoria italiana dopo Caporetto: “…Voi non sapete, e forse non saprete mai, quanto avete fatto per l’Italia!”.

Poco citato infine il leggendario Emilio Lussu, mentre non viene citato affatto l’altrettanto leggendario Alfredo Graziani. Se l’autore avesse poi indagato sul perché gli abitanti dell’Altopiano di Asiago siano ancora oggi così attaccati alla Sardegna e alla “Sassari”, avrebbe scoperto cose sorprendenti. Una per tutte: che anche i generali cadevano in combattimento, come Eugenio Di Maria, comandante della Brigata, che fu colpito sul Monte Zebio il 27 giugno del 1916, nella stesso giorno e non distante dal punto dove cadde colpito a morte un suo “sassarino”, Francesco Loddo, fratello di Giuanniccu, il mio nonno materno che sarebbe caduto due anni dopo sul Piave. Degli 11 comandanti della “Sassari” nella Grande Guerra tre non videro la vittoria. E’ significativo che alcuni anni fa Asiago abbia donato l’area cimiteriale di Monte Zebio ai 131 Comuni sardi che hanno un proprio concittadino sepolto lassù.

E per me sarà esaltante, questa estate, incontrarmi di nuovo su a Monte Zebio con un altro Eugenio Di Maria, nipote del generale. Insieme

andremo a inchinarci davanti alle croci del suo valoroso aristocratico nonno e del mio altrettanto valoroso prozio Francesco Loddo, pastore analfabeta di Ortueri, dove oltre al grande senso dell’Onore e della Memoria, si ricorda il grande contributo offerto dai Sardi alla Causa Nazionale.

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