EL ALAMEIN

Condividi:

Pubblicato il 25/09/2012

LETTERA DAL FRONTE DI EL ALAMEIN DI UN PARACADUTIsta

PARMA- Il paracadutista (ingegnere) Giovanni Onano ha il privilegio di essere nipote e portare lo stesso nome del sergente maggiore Paracadutista Leone di El Alamein Giovanni Onano.
Giovanni jr ha partecipato alla XIV MISSIONE del progetto El Alamein indossando la giacca del Nonno, che combattè a Naqb Rala nel V Battaglione, 13ma Compagnia. Ha tenuto un comportamento esemplare, collaborativo, di grande simpatia ed intelligenza. Unico neo: veniva continuamente fermato dalla polizia, poi dalla dogana e perfino al check-in prima di imbarcare per il rientro. Ci nasconde qualcosa?

Per salutarci a fine missione, ci ha fatto un prezioso regalo: una lettera che il Nonno scrisse alla Moglie e che Giovanni ha voluto condividere con noi.

Grazie Giovanni.

PM 260 AS 2 Settembre 1942

Lully carissima,

…mentre sto sdraiato nella buca che mi sono fatto questa notte e dove dovrò forse passare la giornata. Scrivo in una posizione stramba e mi meraviglio anzi che mi riesca di scrivere. Mi giro e mi rigiro in cerca di una posizione più comoda ma non ci riesco.

Il foglio di carta mi pare che conservi delle impronte. Non è che l’abbia sporcato così per incuria ma è parecchi e parecchi giorni che non mi lavo ne mani ne viso. Ho una barba da frate, i capelli lunghi impolverati tanto che sembrano grigi. In effetti sembro papà natale, ma con tutto questo il morale è altissimo e mi auguro di poter entrare al Cairo fra qualche giorno.

Non è questa amore mio una vana presunzione ma è la certezza della superiorità nostra sugli inglesi e su tutte le razze mercenarie che ci hanno opposto. Hanno una paura matta e quando sentono a distanza l’odore dei soldati nostri si mettono in fuga e tanto maggiore è la velocità se alle calcagna ci sono quelli della Folgore o bersaglieri. Noi con i camerati piumati siamo il loro incubo, il loro tormento: ci vedono comparire in tutti i punti nell’interno delle loro posizioni e certi ceffi di razze imprecisate ci credono degli esseri soprannaturali.

Difficilmente riescono a farci prigionieri e se qualche volta per puro caso lo possono ci guardano a vista con infinite sentinelle ma sul più bello non ci trovano.

Sono stato loro prigioniero per cinque ore e mezza, dalle 23 del 31/8 alle 4,30 del 1/9. Voglio raccontartelo nella speranza che la censura non sia troppo severa e lo scrivo nell’altro foglio in modo che eventualmente venga strappato quello solo e il resto della lettera possa giungerti.

Come già oramai avrai saputo dai comunicati la sera del 31 abbiamo iniziato la marcia in avanti. Sono stato comandato di pattuglia di collegamento con altri quattro soldati. Naturalmente me li sono scelti sardi, dei ragazzi che mi hanno seguito parecchie volte volontariamente in scorribande nelle file nemiche. Il quinto invece era un milanese che parla il tedesco alla perfezione e che mi doveva servire da interprete nel caso mi fossi incontrato con i camerati tedeschi che stavano sulla mia sinistra.

Partenza alle 21 prima del sorgere della luna, attraversiamo cautamente un campo minato attraverso un corridoio fatto dagli specialisti del genio e poi avanti nella fascia di terra di “Ein der van” di profondità e che era terra di nessuno. Li avvenivano quei vittoriosi scontri di pattuglie che costavano agli inglesi la perdita di uomini e di macchine e queste ultime venivano immediatamente utilizzate da noi.

Dato quindi che i nostri ci erano alle spalle abbiamo osato più del necessario spingendoci senza essere visti fin oltre le prime linee loro, in pieno territorio inglese.

Ad un tratto mi è sembrato di vedere delle ombre avanti a me. Immediatamente ci siamo buttati a terra per vedere e non essere visti. Siamo rimasti in quella posizione oltre un’ora e mezza poi è apparsa di dietro ad un ciglione la luna e abbiamo visto cinque carri armati leggeri con gli equipaggi a terra, sulla nostra sinistra altri cinque, poi sparse intorno a noi cinque camionette più una macchina sul tipo della nostra Fiat 1500. Proprio mentre ero per prendere una decisione ad uno dei miei ci viene uno scoppio di tosse. Immediatamente la vedetta loro da l’allarme, ci scorgono e si precipitano su di noi facendoci prigionieri senza poter avere il piacere di metterne fuori uso un paio. Ci portano in mezzo al circolo delle macchine disarmandoci, poi l’ufficiale che gli comandava, un capitano, da l’ordine di perquisirci perché sa che ognuno di noi oltre le armi visibili ha qualche bomba nelle tasche, qualche pistola nascosta nei pantaloni legata al polpaccio. In un italiano abbastanza comprensibile mi dice di consegnare tutto. Tutto intendeva l’armamento ma un graduato mi fruga nelle tasche e mi toglie il portafoglio, l’orologio da polso, la penna stilografica, quella matita d’argento, le fotografie, lo zaino con tutta la roba dentro.

Il signor ufficiale sfila i soldi dal portafogli e persino due o tre lire in monete dal taschino e così fa con i miei soldati. Questo atto di pirateria mi ha fatto uscire dallo stato di grazia e ho protestato in modo violento in italiano e in quel poco d’inglese che ricordo dalla scuola. Mi ha detto che dopo arrivati al loro comando mi avrebbe reso i soldi mentre le nostre penne, orologi e tutto quanto avevamo noi era prontamente sparito nelle capaci tasche di questi signori.

Per non smentire la decantata cavalleria ci hanno offerto acqua minerale e liquore, poi dei biscotti e un sacco di roba in scatola.

Verso le quattro di mattino ci hanno fatto montare tre su una camionetta e tre su un’altra e la colonna si è messa in marcia. Dopo neppure cinque minuti di strada incominciano a piovere delle cannonate italiane e tedesche. Puoi capire le nostre condizioni in quel momento: prigionieri e guardati a vista dagli inglesi e i nostri che ci sparano sopra. Era venuto per me il momento di agire. Un ordine secco in dialetto e non appena le macchine si sono sparse per sottrarsi al fuoco micidiale delle nostre armi con due testate mettiamo a dormire i nostri guardiani mentre con l’arma stessa di uno di loro ordiniamo al guidatore (poggiandogli la pistola alla nuca) di invertire la rotta. Nell’altra macchina dove erano i due sardi e il milanese identica scena.

Dopo una corsa di circa un quarto d’ora incontriamo i nostri reparti e il Maggiore comandante il nostro oramai glorioso V° Folgore ci stringe la mano poi mi abbraccia.

Ho potuto recuperare l’orologio e la matita che erano in mano o meglio nella tasca del guidatore della camionetta mentre i soldi e i documenti sono rimasti in tasca del capitano.

E’ sperabile che lo incontri quel capitano e allora la sua pelle non avrà il valore di uno spillo vecchio.

Credo di essere stato prolisso in questa mia lettera ma ho voluto, come al mio solito, dirti sempre tutto.

Mandami carta da lettere e qualche lametta per barba. Mi servirebbero tante cose ma posso anche farne a meno. Se non puoi fare un pacchetto metti la carta e una o due lamette nella lettera stessa.

Grazie dei francobolli.

Baci infiniti. Ciancian

Leggi anche