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Pubblicato il 08/10/2015

L’ITALIA PARLA MALE L’ITALIANO ?

Riassunto di una intervista apparsa su IL FATTO QUOTIDIANO del 8.10.15

PARMA- La professoressa Bianca Barattelli, insegnante di Italiano e Latino , è autrice del saggio Scrivere Bene (Il Mulino).
Parla di alcuni errori dei suoi studenti: ” Ho dovuto spiegare al mio studente che l’affinità non si raggiunge, c’è o non c’è. Lui voleva dire affiatamento”.

Professoressa Barattelli può fare un esempio per spiegare meglio il concetto di “adeguatezza della lingua” alla situazione?

Facciamo un parallelo con l’abbigliamento: nessuno -pena la censura sociale o il ridicolo- andrebbe a una cerimonia in tuta da lavoro, o si presenterebbe in smoking in un rifugio sulle Dolomiti. Così il mio libro si rivolge a chi tiene a indossare sempre l’abito giusto nella diverse occasioni in cui si presenta in società con un testo scritto.

scrittura del curriculum vitae
È un caso in cui l’abito fa il monaco più che in altri. L’accuratezza formale è la prima regola. Deve essere ineccepibile: se conosciamo poco una lingua, possiamo scrivere che abbiamo “una conoscenza scolastica o essenziale”, ma mai usare “mediocre”. È necessario minimizzare i propri limiti senza darsi la zappa sui piedi. Si può usare la fantasia ma, come nel caso dei bigliettini da visita, eviterei di utilizzare colori acidi o vesti troppo New Age: massima attenzione alla veste grafica che deve essere pulita e ordinata. Lo stesso vale per il flagello della “mail-formulario” scritta in burocratese e con espressioni desuete: usate toni più normali.

A proposito dell’uso di parole provenienti da altre lingue lei ha parlato di “rischio babele”.

Per darci un tono usiamo forestierismi imposti da una tendenza a credere che siano più funzionali: dire briefing ci fa sentire più efficienti di quei poveretti che partecipano a una semplice riunione. La strada giusta è diffidare dall'”aziendalese” e usare l’inglese solo quando esprime un concetto in modo migliore, come nei casi di check-in o social network. E per scrivere e pronunciare la parola in modo corretto assicurarsi che si tratti davvero di inglese, e non di latino come nel caso di mass media, summit, tutor, sponsor e tante altre insospettabili.

Che cosa è vietato in un testo scritto?

Il turpiloquio. Vietato in chat, sui social e via sms: scripta manent e prima o poi ha l’effetto di squalificare chi lo usa, o peggio si ritorce contro chi ne ha abusato. alle parolacce la lingua italiana offre una ricca serie di alternative: sarebbe un peccato lasciarsele scappare per sembrare disinibiti.

Meglio dare del “tu” o del “lei” come sostiene Umberto Eco?

Rimane l’uso del “lei” di cortesia ma spesso è solo un retaggio delle corti del Quattrocento, da evitare come la peste quando si scrive. È “come continuare a portare la parrucca o i boccoli degli ominoni tronfi e vacui del Sei-Settecento e gli infiocchetati codini dei cavalier serventi o dei cicisbei”, spiegava lo scrittore Bruno Cicognani sul Corriere della Sera già nel 1938.

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