OPINIONI

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Pubblicato il 03/02/2022

MA MI FACCIA IL PIACERE!

03 Feb 2022 09:27

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola
Ragusa Oggi

Dentro ognuno di noi c’è un Che Guevara che guarda Sanremo sul divano. In pantofole. E rolling palpebre.
Noi siamo rivoluzionari. Come l’ananas nella pizza.
Il dramma, l’accidenti di dramma, è che oggi trasgredire è complicatissimo. Nella musica, nello spettacolo, in tv, sui social, nella vita. Tutto è stato già fatto. Anche la blasfemia (presunta o reale che sia) assomiglia in modo inquietante a una triglia surgelata, che ti era stata spacciata per un indomabile squalo bianco e che ora ti guarda fissa e comatosa come il più languido dei botti di fine anno. Mai esplosi.
Achille Lauro a me non dispiace. Ma dire che è originale e coraggioso, vuol dire essersi persi mezzo secolo di musica del mondo occidentale (e non dico solo rock inglese, anche musica leggera italiana).
Nessuno si sconvolge se un artista costruisce e preconfeziona provocazioni estrose. Per l’audience.

Il punto è che queste trasgressioni apparenti (e invero forzatissime e banali) oramai non trasgrediscono una beata.
Achille Lauro a torso nudo, tatuato come un iguana, ossigenato e palestrato fresco, che si battezza da solo in diretta sul palco dell’Ariston.
Non mi ricorda il Duca Bianco. O il Mahatma Ghandy.
Mi fa pensare piuttosto all’eroico eversivo di Cordoglio sul Mare (?) che scrive “Rocco Siffredi” nelle votazioni per eleggere il Presidente della Repubblica Italiana.
Nessuno scandalo. Per me. Riconosco che alcuni credenti possano essersi sentiti offesi, gratuitamente offesi, dalle intemperanze sceniche del Lauro. Tuttavia, il vero tallone d’Achille è nella sovversiva e irredimibile scimmiottanza di copioni che noi conosciamo a memoria, come una Madonna che canta “Like a Vergin”, mentre Zero e Battiato danzano sulle nostre teste benpensanti.

Mia zia non avrebbe capito. Lei seguiva il Festival di Sanremo (da Ragusa con furore) solo per cantare a squarciagola le canzoni davanti a Pippo Baudo, nella segreta speranza che lui si accorgesse di lei. E la invitasse. Sul palco. Tra mille fiori. Quella sì che era trasgressione!
Erano quelli gli anni di Monica Vitti. Della comicità artistica. Della provocazione geniale.

Vedi, Achille, tu sei un ragazzo simpatico. Ma nella vita, come nello spettacolo, il timing è essenziale. Non perdona.
Ecco, tu da alcuni di noi rischi di essere ricordato come un “comico involontario”, interprete di una non trasgressione strappa audience, ovvia e già conformista, proprio nel giorno in cui una Donna Artista, provocazione di talento puro, ci ha lasciati, in una scia di folgore di stelle. Esse autentiche.
Il timing. Il tempo. Non perdona.

Mia zia, coetanea di Monica, non capirebbe le tue sceneggiate. Ma, ti do una notizia, anche gli adolescenti le traducono solo in meme. Potenti trasgressioni diventano buffe vignette digitali. Chiamale se vuoi ritorsioni. Innocenti deiezioni.
E sapere che i nostri figli ricalcano i fili dei nostri nonni, mi conforta, mi rivoluziona l’intestino tenue.
Perché allora ora parlo anche io di te? Perché dopo due anni di tormentose filippiche sui contagi e sui vaccini, proprio ora che le navi russe mi solcano l’anima, mi va finalmente di litigare con gli amici per Sanremo. Per Sanremo!
E di questo ti ringrazio. Anche se non ti battezzi. Ti battezzo io. Mi vuoi come padrino? Giuro che mi faccio il percieng e il tatuaggio. Su ciascuna delle unghie del piede sinistro. Tra pantofole e Rivoluzione. Rivoluzione. Rivoluzione.

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