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Pubblicato il 20/02/2015

MILITARE RISARCITO DOPO 38 ANNI

CORRIERE DELLA SERA
20 febbraio 2014

Giustizia lenta, militare risarcito dopo trentotto anni dalla morte

Agli eredi 120 mila euro. La Corte dei Conti aveva avviato il processo nel 1976

Napoli- Trentatrè anni per emettere una sentenza, che arriva quando chi aveva chiesto giustizia è morto da un pezzo. L’intricata e odiosa vicenda burocratica, tuttavia, stavolta ha un fine meno amaro: perché gli eredi del morto (un militare che si ammalò durante il servizio di leva) sono stati risarciti con 120.000 euro. Il tempo medio di definizione di un giudizio di primo grado, ha stabilito la Corte d’appello di Roma, è tre anni.

In questo caso, dunque, ne sono passati trenta di troppo. Protagonista e vittima di questa storia di mala giustizia è Eduardo Ragosta, che il 27 febbraio prossimo avrebbe compiuto 65 anni ma che, invece, ne aveva appena 27 quando, nel 1977, morì per un’epatopatia cronica. La storia comincia una vita fa: il 17 giugno 1969 Eduardo, panettiere abitante in calata santi Cosimo e Damiano, vicino a via Sedile di Porto, viene arruolato per la leva di 24 mesi in Marina e il 27 gennaio dell’anno successivo comincia il servizio militare. Sta bene. Un anno dopo, tuttavia, durante la licenza natalizia, viene ricoverato nell’ospedale militare ed operato di emorroidi: un disturbo che, probabilmente, è dovuto al cambiamento di regime alimentare e più in generale di abitudini. Dal 28 marzo al 19 maggio del 1971 il giovane militare viene nuovamente ricoverato e nuovamente operato. In ospedale contrae un’infezione e in novembre viene ricoverato per la terza volta: ma stavolta gli viene diagnostica un’epatopatia cronica. Il 24 dicembre 1971 Eduardo Ragosta presenta domanda affinché gli venga riconosciuta la dipendenza dell’epatopatia cronica dalla causa di servizio. E l’Ispettorato di sanità della Marina militare, Commissione medica di II Istanza, con il processo verbale n 383 del 27 giugno 1972, diagnostica al signor Ragosta un’«epatopatia cronica con splenomegalia» e gli riconosce la causa di servizio. Contestualmente riconosce che la menomazione non solo comporta l’inidoneità al servizio in Marina militare, ma è permanente. Il giovane marinaio sembra averla spuntata: fa domanda di pensione. Ma passano quattro anni e il ministero dice no: siamo arrivati al 27 marzo 1976.Il primo luglio successivo Eduardo presenta ricorso alla Corte dei Conti di Roma, sezione giurisdizionale. Non può immaginare che morirà l’anno dopo senza avere risposta, proprio a causa di quella maledetta epatopatia. E che ci vorranno ben 33 anni prima che la Corte dei Conti risponda: con un nuovo «no», ma appigliandosi a un cavillo e senza pronunciarsi nel merito. Alla morte di Eduardo, gli subentrano nella causa il padre, Ciro, il fratello, Gioacchino, e le sorelle Anna, Patrizia e Raffaella. Col passare degli anni muore anche il padre. I fratelli, ormai, non pensano più alla causa. Nel 2008, indirizzato a Eduardo Ragosta, morto ormai da 31 anni, arriva l’invito a riassumere il procedimento giurisdizionale. I fratelli evitano di provocare l’interruzione del processo: presentano istanza per la prosecuzione del giudizio ed istanza di fissazione di udienza. La Corte dei Conti il 24 marzo 2009, rigetta il ricorso degli eredi Ragosta senza neppure entrare nel merito: la sentenza viene depositata il 26 marzo 2010 e comunicata solo ad ottobre 2010. I fratelli di Eduardo si rivolgono all’avvocato Ciro Renino, che ricorre alla Corte d’Appello di Roma, competente a pronunciarsi sulle sentenza emesse dalla Corte dei Conti di Napoli. La sezione Equa riparazione nei giorni scorsi accoglie il ricorso e assegna a ciascuno degli eredi Ragosta 29.250 euro oltre agli interessi. Il ministero della Difesa dovrà pagare anche le spese. Commenta l’avvocato Renino: «Sul piano tecnico, il provvedimento è importante perché la Corte ha escluso la prescrizione del diritto, che avrebbe potuto limitare il risarcimento agli ultimi cinque anni di causa. I miei assistiti, sfiniti da più di trent’anni di attesa, stentano a credere di aver centrare un obiettivo dinanzi alla Giustizia italiana». Titti Beneduce

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