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Pubblicato il 19/10/2016

MOSUL- IL GENERALE BERTOLINI : I NOSTRI SOLDATI PROTEGGONO LAVORATORI NAZIONALI. PREOCCUPA L’ATTEGGIAMENTO USA

La Stampa
sezione: Esteri data: 19/10/2016 – pag: 5

“Soldati italiani fuori dalla linea del fuoco ma pronti a eventuali interventi”

Il generale Bertolini: devono proteggere la diga e soccorrere i feriti

Il presidio dei nostri militari alla diga irachena di Mosul, a tutela dei lavoratori italiani della ditta «Trevi» di Cesena, «è un grande impegno sul fronte della sicurezza a causa dell’obiettivo strategico rappresentato dalla città simbolo dell’Isis. Ma i nostri uomini non dovrebbero correre seri rischi di attacchi strutturati e complessi». Lo afferma il generale di corpo d’armata Marco Bertolini, fino a poco tempo fa alla guida delle missioni italiane all’estero.

Il nostro contingente non sarà quindi coinvolto nei combattimenti di Mosul?
«No, non credo proprio. La diga si trova ad oltre 30 chilometri da Mosul, in un’area relativamente tranquilla, sotto il controllo dei Peshmerga curdi. Il problema prioritario dell’Isis, d’altronde, è quello di mantenere l’egemonia a Mosul che è il vessillo, il simbolo del potere terroristico. Difficilmente quindi i soldati del Califfo si allungheranno fino alla diga».
Intravede, comunque, pericoli per i militari italiani?
«Non possiamo certo escludere a priori che possano verificarsi episodi singoli e sporadici come l’esplosione di un razzo o un colpo di artiglieria. Ma non ritengo plausibili azioni complesse, organizzate e sistematiche contro i nostri soldati».

E come valuta i potenziali rischi per le squadre del Personnel Recovery, ovvero gli elicotteristi della Brigata Friuli schierati a Erbil?

«Svolgono un compito certamente delicato, in quanto dovranno intervenire qualora sarà necessario soccorrere i feriti della coalizione anti-Isis e portarli fuori dalla zona dei combattimenti, o assistere plotoni in difficoltà. Ma, nonostante Erbil sia vicina alla linea di contatto, è una zona sicura grazie anche all’influenza curda».
Eppure i nostri elicotteristi, dotati di quattro elicotteri NH-90 da trasporto e di altrettante cannoniere volanti «Mangusta», saranno impegnati direttamente sul terreno, nelle zone più roventi del fronte.
«Purtroppo fa parte dei rischi della missione militare. Ma ribadisco un certo ottimismo. A preoccuparmi maggiormente, semmai, è l’atteggiamento degli Stati Uniti d’America».
Perché?
«La loro politica militare è incentrata su dichiarazioni di guerra annunciate troppo spesso e troppo a sproposito. È un grave errore strategico avvertire il nemico sulle proprie intenzioni. La mia sensazione è che gli Usa vogliano più che altro controbilanciare l’attivismo di Putin in Siria. Sono stati spiazzati dall’intervento russo su Aleppo e quindi ora sembrano voler recuperare in immagine. Ma è più una questione di propaganda politica che di strategia di battaglia. Gli americani stanno ripetendo ora lo stesso errore che hanno commesso per Sirte: tanti proclami, tante dichiarazioni di guerra, ma alla fine Sirte è ancora lì».
Tra comparto aereo e quello terrestre, in Iraq abbiamo circa mille e 400 uomini. A parte Mosul ed Erbil, dove è radicato il nostro impegno?
«Sostanzialmente a Baghdad: i carabinieri addestrano i militari locali e le nostre truppe speciali, come Col Moschin e Goi, istruiscono i corpi speciali iracheni».

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