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Pubblicato il 21/04/2021

NIGER – MALI E AFRICA: I RISCHI DELLE NOSTRE MISSIONI

L’Africa è instabile a cominciare dal Sahel dove gruppi armati affiliati ad al Qaeda , con forti radici in Mali, alimentano rivolte armate di gruppi di miliziani islamisti, a nord , saldandosi con elementi di Boko Haram a nord della Nigeria.
MALI
In MALI più del 90% della popolazione è di fede musulmana, su 23 milioni circa di abitanti, con tredici tribù che parlano 12 lingue locali più il francese. La estensione della nazione supera di 4 volte l’Italia,
Nella regione del Sahel convivono diverse missioni, con catene di comando differenti: Minusma ( UN) , dal 2013 Eutm-M ( European training mission) per l’addestramento delle forze armate; Barkhane, francese, orientata al combattimento, con 50 caduti, che hanno alimentato forti contrasti in patria sulla convenienza politica e militare della missione, inducendo la Francia a cercare alleati per trasformarla in missione multinazionale.
MALI SECONDO AFGANISTAN?
La presenza di truppe e organizzazioni occidentali in Mali è ispirata, come in Afghanistan , dalla volontà di una lotta globale al terrorismo, ma , come dimostra il ritiro preannunciato dalla Nato nel paese asiatico, la strategia scelta non ha dato i risultati sperati. Su richiesta francese, a breve prenderà corpo la missione “Takuba” con 200 militari italiani, con elicotteri, radicata in Sahel e quindi anche in Mali , sostitiuendosi alla la missione Barkhane. Al contrario di Germania e Spagna, l’Italia ha deciso di fornire le proprie truee , compresese di certo le forze speciali, opererando con i francesi, che hanno chiesto di ampliare la missione anche ad altri paesi europei per sostenerne meglio il peso economico e politico in Patria.
E’ in quell’area che nasce il terrorismo islamista globale, dicono gli esperti e le forze che si intende impiegare sembrano , come sempre, sottodimensionate rispetto alla estensione del territorio da controllare e al mosaico di realtà turbolente locali.

IRAQ E SIRIA – CONTINUANO GLI ATTENTATI
In alcune aree dell’Iraq e della Siria, continuano intense operazioni militari di coalizione , con truppe americane in testa, che non riescono però ad estirpare le cellule terroristiche, ancora in grado , ad esempio, di lanciare razzi contro l’aereoporto di Erbil, usando addirittura droni suicidi. Anche la città di Baghdad è stata colpita in Aprile da una autobomba suicida. L’Italia è presente a Erbil con circa 900 militari, compresa una componente elicotteri dell’AVES, con compiti di addestramento delle forze curde.
I risultati della coalizione , dopo tre anni di combattimenti, non sono ancora stabili nè definitivi.
LA MODALITA’ DI LOTTA GLOBALE AL TERRORISMO VA RIVISTA?
La analisi dei risultati ( o dei fallimenti) di questa modalità di contrasto al terrorismo è pessimistica: il fenomento non è stato estinto in nessun paese/sorgente dove sono state inviate forze talvolta sottodimensionate o con “il freno a mano tirato”( per usare una frase di un generale italiano, ndr) , che si sono confrontate con “teatri di combattimento asimmetrici” , spesso non supportati adeguatamente dai politici dei paesi che ospitano le truppe. L’addestramento di forze locali, individuato come uno dei rimedi per dotare i paesi sotto scacco islamista di capacità propria di contrasto, richiede tempi lunghi e presenza continuativa ed omogenea di missioni, ma in un periodo di recessione globale, molti paesi hanno optato per ripiegare per impegnare più risorse in patria.

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