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Pubblicato il 22/12/2014

OMICIDIO DELL’INCURSORE MANDOLINI: NUOVA PISTA

IL TIRRENO del 22 Dicembre 2014

delitto del romito »LA NUOVA INCHIESTA – Dai cellulari del parà ucciso
una nuova pista per il killer
Intanto sono arrivati i primi risultati sulle analisi di laboratorio per comparare
il dna dell’assassino con quello di una trentina di ex colleghi della vittima

C’è una nuova pista per l’omicidio di Marco Mandolini, il paracadutista, sottufficiale del battaglione “Col Moschin”, ferito con quaranta coltellate e finito con un masso pesante 25 chili la sera del 13 giungo del 1995 sugli scogli del Romito, tra Calignaia e Calafuria. A dare un nuovo impulso alle indagini dei carabinieri, coordinati dai pubblici ministeri Alessandro Crini e Massimo Mannucci, i tabulati telefonici dei due cellulari in uso al 35enne, già analizzati all’indomani del ritrovamento del cadavere, ma allora difficili da decifrare per la mancanza delle attuali strumentazioni tecniche. Che cosa gli inquirenti abbiano scoperto dall’analisi di quei numeri, è un’informazione per adesso top secret. Ma, si sa anche che nelle ultime settimane gli stessi carabinieri del nucleo investigativo abbiano ascoltato diversi istruttori dei paracadutisti che lavoravano a Livorno negli anni Novanta. Possibile che esista un nesso tra questi due elementi? Ma c’è di più. Perché rileggendo i verbali raccolti all’indomani dell’omicidio, tra mille difficoltà, è emerso anche un altro aspetto: la vittima durante quella giornata di primavera inoltrata si è mossa più volte dal luogo dove è stato poi ucciso, tornando in caserma almeno una volta a bordo della sua auto, se non addirittura due. Ecco perché – è la logica deduzione – gli inquirenti sono convinti che quel giorno Mandolini stesse aspettando qualcuno, oppure che lui stesso abbia portato il suo assassino sul luogo del delitto. «In casi come quello dell’omicidio del paracadutista serve anche un po’ di fortuna per scoprire il colpevole – spiega chi sta ancora lavorando sul caso – ecco perché nonostante non siano ancora arrivati risultati concreti stiamo continuando a indagare. E questo nonostante le difficoltà: il tempo trascorso, la scarsa collaborazione di chi a nostro parere conosce la verità e le difficoltà di trovare riscontri a distanza di 20 anni». Ad essere già stati sottoposti al tampone e alla successiva comparazione con il profilo genetico dell’assassino, questo isolato nei mesi scorsi quando l’inchiesta è stata riaperta a distanza di 18 anni, sono stati fino ad oggi una cinquantina di ex paracadutisti, allora colleghi della vittima. Si tratta – confermano i carabinieri – della prima tranche di test. «Perché in tutto saranno oltre duecento le persone sottoposte alla medesima comparazione». Sì, perché l’unica certezza dei pubblici ministeri Crini e Mannucci che coordinano la terza inchiesta in vent’anni sull’omicidio dell’ex braccio destro del generale Bruno Loi nella missione Ibis in Somalia, è che ad uccidere il 35enne sia stato un collega. «Per ammazzare Rambo – ripetono gli investigatori – serviva un altro Rambo». Mandolini, soprannominato in missione “Condor Mike”, era infatti un istruttore di difesa personale e arti marziali ed era considerato tra i migliori militari in circolazione. È anche per questo che la Procura, escludendo ricostruzione complottistiche alle quali mancherebbero solide fondamenta investigative (collegamenti con l’omicidio di Ilaria Alpi in Somalia, l’uso di uranio impoverito, traffico di armi e collegamenti con il caso Gladio), ha indirizzato i propri accertamenti su due possibili moventi: quello passionale e quello – considerato il più plausibile, economico. Ma nelle ultime settimane, appunto, gli inquirenti stanno prendendo in considerazione anche un altro filone investigativo. Una nuova pista, infatti, sarebbe emersa dai tabulati telefonici dei due cellulari (siamo agli albori della telefonia mobile) in uso al paracadutista e dai quali sono emersi gli ultimi contatti avuti da Mandolini prima di essere ucciso. E forse una traccia per incastrare il suo assassino

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