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Pubblicato il 12/05/2016

PARACADUTISTA DELLA FOLGORE AMMALATO DI LINFOMA IN BALIA DELLA DIFESA PER LE SPESE MEDICHE

ESPRESSO del 12 Maggio 2016

Uranio impoverito

Soldato avrai giustizia

Se un militare si ammala, il ministero della Difesa decide se ha diritto al risarcimento. E spesso lo nega. Ora una legge vuole affidare la competenza all’Inail. Come per gli altri lavoratori
Giovanni Tizian


Linfoma di hodgkin. Una diagnosi che non lascia scampo. Giuseppe Tripoli ci convive da tempo. Da quando indossava la mimetica della Folgore. Ma il caporal maggiore dell’Esercito non è un lavoratore come gli altri. Per lui la giustizia ordinaria è off limits. I panni sporchi, la Difesa, li lava in casa per legge.
Si chiama giurisdizione domestica. E vuol dire questo: chi si ammala è un militare, il medico che deve verificare lo stato di salute è un militare, chi deve riconoscere il risarcimento è un militare. Un sistema totalmente autoreferenziale. Che impiega fino a 10 anni per emettere un verdetto. Ora, però, una proposta di legge potrebbe rivoluzionare il sistema: la soluzione è spostare la competenza nelle mani dell’Inail. Così come avviene per tutti i lavoratori, a prescindere dalla personalità giuridica del datore di lavoro. La proposta “sovversiva” è il frutto di un lungo lavoro di indagine della commissione parlamentare d’inchiesta sulle malattie contratte dai militari durante il servizio. Il presidente è Gian Piero Scanu. Il deputato sardo che ha dato filo da torcere ai sostenitori degli F35. E incubo della cricca del «quartierino». Il gruppetto messo in piedi dal compagno dell’ex ministro Federica Guidi, Gianluca Gemelli, con il capo di stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi. Scanu, infatti, viene definito nelle intercettazioni «un pazzo che non si riesce a fermare neanche con il bazooka». L’odio era dovuto all’opposizione del parlamentare Pd al rinnovo delle spese militari: in particolare aveva denunciato forti pressioni esterne per far approvare oltre 5 miliardi di euro per il rinnovo della flotta navale che tanto stava a cuore all’ammiraglio amico di Gemelli. «Questa è la quarta commissione, e vorremmo che fosse l’ultima», spiega Scanu a “l’Espresso”. «Nella nostra relazione intermedia faremo delle proposte normative che, ne sono certo, verranno accolte». Tra queste la più significativa è affidare all’Inail la valutazione delle malattie contratte dai militari: «Ciò permetterà di creare un procedimento che non si sviluppi solo all’interno della Difesa». In pratica verrebbe abolito il ricorso al comitato di verifica che, attualmente, riceve le richieste di indennizzo. Il comitato è interno al ministero dell’Economia, composto, però, da soli militari che dovranno valutare se le patologie sono connesse alle mansioni svolte durante il servizio. «Con la nostra proposta», continua Scanu, «vogliamo uscire dalla giurisdizione domestica e garantire imparzialità nei giudizi. Per farlo, l’unico modo è separare nettamente il controllore dal controllato».
Giuseppe Tripoli, per esempio, ha presentato la domanda di indennizzo nel 2002. Ma il gruppo di esperti in divisa gli ha negato il risarcimento. Buona parte dei suoi anni migliori li ha trascorsi nei poligoni e nelle officine. A contatto con uranio impoverito e polveri nocive. Vedetta nel poligono di tiro nel 57° battaglione Abruzzi di Sulmona. Dentro buche e trincee realizzate con gli esplosivi. Al montaggio e alla manutenzione delle armi durante l’addestramento nell’80° reggimento di Roma Cassino. La missione coperta da segreto in Jugoslavia e quella polverina letale rilasciata dal tritolo. E, infine, nel IX reggimento paracadutisti “Col Moschin”: anche qui il contatto con materiale bellico e la bonifica di munizioni e di automezzi blindati. Eppure, secondo la commissione degli ufficiali, per Giuseppe manca il nesso di causa-effetto. Perciò niente indennizzo. Tuttavia il militare non si è arreso. Si è rivolto al Tribunale amministrativo del Lazio, che gli ha dato ragione. Ora sarà il Consiglio di Stato a dire l’ultima parola. Il Tar è uno degli organi al quale possono ricorrere i soldati per far valere i propri diritti. L’altra strada è la causa civile. Più difficile ma non impossibile. Soluzione scelta da alcuni colleghi di Tripoli: in primo grado, spesso, è andata bene, ma, in alcuni casi, in appello i togati hanno evidenziato come la sede idonea per far valere i propri diritti sia il Tar. Regna la confusione. E tra un tentativo e un altro, migliaia di euro vengono bruciati per avvocati e consulenze. La commissione parlamentare ha raccolto testimonianze, storie e ha sentito, inoltre, i vertici dell’Esercito. Le istanze presentate da soldati affetti da patologie da uranio sono state 549, meno della metà quelle accolte; stessa proporzione vale per le malattie connesse all’amianto, su 612 solo 288 sono state ritenute valide; infine ci sono le richieste per patologie causate da più fattori concomitanti, di queste appena un quinto, di 841, sono state accettate. Il rigetto quasi sistematico è stato definito «anomalo» dai giudici del Tar toscana in una sentenza di due mesi fa: «Il Comitato di verifica per le cause di servizio nega il legame causa-effetto aderendo alla posizione del ministero del Difesa con una abusata tecnica a “stampone”, che è inspiegabile e sorprendente», scrivono i giudici amministrativi, che accusano il comitato di «grave negligenza» e chiamano in causa la Corte dei Conti. Perché così facendo aumenta il contenzioso, e quindi l’erario è costretto a sborsare denaro per oneri processuali e somme maggiori del previsto per gli interessi accumulati. Per questo i giudici contabili sono chiamati a valutare il comportamento del comitato. Sono, infatti, una quarantina le sentenze che hanno portato spese per lo Stato di circa 150-250 mila euro a persona. Vuol dire, quindi, un esborso pari a una decina di milioni di euro. L’Osservatorio militare ha contato, dal 2005, 333 decessi e oltre 3760 malati. «Ma potrebbero essere la metà dei casi reali», osserva Domenico Leggiero dell’Osservatorio, che aggiunge: «Ci sono ormai 43 condanne in sede civile per l’amministrazione della Difesa. Lo scrivono i giudici che l’uranio è pericoloso e che i vertici sapevano cosa stava succedendo». Se per i danni causati dall’uranio impoverito qualche passo avanti è stato fatto, lo stesso non si può dire per i tumori provocati dall’utilizzo massiccio delle vaccinazioni tra gli arruolati. Troppi vaccini abbassano le difese immunitarie. E, così, in aree contaminate il soldato è esposto a qualunque tipo di rischio. Chi è morto per i danni prodotti dalle vaccinazioni è Francesco Rinaldelli, ucciso da un linfoma a soli 24 anni. «È stato mandato in missione a Porto Marghera, in uno dei siti più inquinati d’Italia, senza neppure un minimo di formazione su come comportarsi in caso di emergenza», spiega a “l’Espresso” il padre del giovane che sta cercando di ottenere giustizia. Ma a distanza di anni la sua richiesta è stata respinta dal solito comitato di verifica. Le vaccinazioni non vengono tenute in considerazione. Nonostante gli studi scientifici e i dati raccolti dalla commissione d’inchiesta. Ora ha fatto ricorso. Attende il responso. Ma preferisce per il momento restare nel circuito militare. Perché passare alla giustizia amministrativa vuol dire spendere tanti altri denari per avvocati. Che non tutti possono permettersi.

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