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Pubblicato il 13/06/2015

PRIMA GUERRA MONDIALE: L’EROE FRANCESCO BARACCA UNO DEI PROTAGONISTI

baracca,aereo.cavallino

Niente paracadute per i piloti dellaprima guerra: avrebbero fiaccato lo spirito aggressivo e combattivo


PARMA- Rai Storia ha dedicato pochi giorni fa uno speciale A FRANCESCO BARACCA, le Poste hanno coniato un francobollo commemorativo, l’Accademia di Belle Arti di Bologna ha inaugurato una mostra un suo onore. Nel frattemposono usciti il romanzo storico di Davide Rondoni, “E se brucia anche il cielo” (Frassinelli), enla biografia “Francesco Baracca”.
Prlano dell’eroe della grande guerrà, scritta a quattro mani dai giornalisti Luca e Alessandro Goldoni, padre e figlio. Prendendo spunto dai numerosi studi sul personaggio e da una quantità di documenti contemporanei e lettere private (parte dei quali sono pubblicati in appendice), quest’ultimo libro racconta quasi in presa diretta la vita di un combattente dell’aria chenon teme confronti. Classe 1888, originario di Lugo di Romagna, Baracca fu un asso del volo. Il titolo si riceveva dopo aver abbattuto cinque aerei nemici: lui ne abbattè trentaquattro, prima di morire a sua volta ad appena trent’anni, durante una missione ma in circostanze mai del tutto chiarite.
Di famiglia nobile, alto e fiero, ancora affascinante secondo i canoni estetici di oggi, come testimoniano le foto che amava farsi scattare («I selfie sono ancora di là da venire, ma se fosse esisitito Facebook, dalla pagina di Baracca sarebbero traboccati centinaia di suoi ritratti», scherzano gli autori), il giovane pilota amava la musica lirica e le belle donne (e le donne, manco a dirlo, impazzivano per lui).
Lontani dai campi di battaglia e dalla vita in trincea, i primi aviatori conducevano un’esistenza in un certo senso privilegiata. Idolatrati dalle folle, contesi dalle migliori famiglie nei ricevimenti, rischiavano però la vita ogni giorno, su quei trabiccoli di metallo e tela ancora difficili da guidare, con le ginocchia a reggere la cloche mentre il braccio si allungava per caricare la mitragliatrice. Se poi si veniva colpiti, oppure se il biplano aveva un guasto, non ci si poteva buttare giù: gli eserciti di tutta Europa proibivano l’uso del paracadute, pensando che avrebbe fiaccato lo spirito aggressivo dei piloti.
Come la maggior parte dei suoi colleghi, anche Baracca proveniva dai ranghi della cavalleria, e della cavalleria serbava l’etica ottocentesca del duello: al termine di ogni combattimento, raccontano le testimonianze, si accertava che l’avversario fosse ancora vivo e, se lo era, da gentiluomo andava a stringergli la mano. Dell’antica passione per l’arte equestre però, volle conservare anche un simbolo, un cavallo nero rampante che fece dipingere sulla carlinga del suo aereo. Quando, cinque anni dopo la morte del figlio, la contessa Paolina de Biancoli concesse a un giovane pilota di auto da corsa l’autorizzazione ad utilizzare quell’emblema sulla sua vettura (o forse fu lui a chiederlo), non poteva sapere che sarebbe diventato il brand più famoso d’Italia e uno dei primi al mondo. Il giovane pilota si chiamava Enzo Ferrari.

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