EL ALAMEIN

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Pubblicato il 31/05/2020

QUELLA RACCOMANDATA CHE VENIVA DA EL ALAMEIN

di Emilio Camozzi

Trieste, 24 Dicembre 2005

Questo scritto è un pò una novella di Natale.

Chi mi conosce sa che sono un maledetto tipo con I piedi piantati per terra ed ostico a tutto ciò che sa di sopranaturale o che non segue i canoni normali di un andazzo alla portata di tutte tutte le menti, anche le più usurate come la mia. Chi mi conosce sa anche di me e di Pinna, reduci della Folgore, Lui artigliere io radiotelegrafista, fatti prigionieri a El Alamein e con un trascorso di quattro anni nel campo di prigionia POW Fascist Criminal Camp di El Cassasin, in Egitto.

Altri due folgorini triestini, Vigentini e Fiumi avevano la nostra medesima Via Crucis, e tutti e quattro eravamo iscritti alla sezione ANPdI di Trieste.

Pinna, malgrado abitasse a Perugia, non aveva voluto recidere il cordone ombelicale che lo teneva legato alla sua terra. Eravamo in perenne contatto, e più di qualche volta Tano, come lo chiamavamo, veniva a trovarci.

Un brutto giorno di circa quattro settimane fa Tano, che procedeva solo in auto, subì un tamponamento che lo sbattè contro un muro. Qualche ammaccatura, qualche dolorino quà e là ma, sembrava, nulla di serio. Piuttosto che andare in ospedale, Tano preferì, per non mettere in pensiero la moglie che non stava molto bene, andarsene a casa.

Purtroppo il colpo era stato devastante per gli organi interni. Di lì a qualche giorno cominciò a stare male e dovette ricorrere alla cure ospedaliere. L’aggravamento fu rapido e grave.

Giovedì 22 nel pomeriggio ho ricevuto una raccomandata da Tano. Conteneva quegli allegati che ti spedisco. Non c’era alcuno scritto di suo pugno, nemmeno gli auguri che era solito mandare. La data di spedizione della raccomandata risaliva al giorno 20 dicembre.

Il giorno 18 Tano è entrato in coma. Durante la notte del 22 ci ha lasciati.

Anche Vigentini e Fiumi hanno ricevuto una raccomandata uguale alla mia. Se controlli le date, vedi che c’è qualcosa che non batte.

Una spiegazione ci sarà senz’altro, ma ora lasciami vivere nell’illusione che quel filo che lega noi folgorini non si spezza nemmeno con la morte.

PS. Riporto quanto scritto dall’ascaro:

Quel tempo a Kassasine…
Essere tifo a campo 305…
Alì Mohamed el Zuari
Di Sliten dell’8° battaglione
Odiato da sergente inglese
Sempre calci schiaffi e punizioni
Lui allora dice
“Per Allah io scappo”
Di notte fare urlo
e camminare come sciacallo…
Messe scarpe su orecchie…
Sentinella spaventata bizef…
Lui scappato
Di mattina noi avere pianto
Ascaro Al’ Mohamed el Zuari…
Meschino…
Poi sepolto fagotto…
Per paura tifo…
Inglese stare lontano…

Ora Alì vivere a Bengasi
Stare molto grasso
Pesare 120 chili
Tenire bottiga
Tre mogli e dodici figli
Fare fatto fesso inglese…
Stare molto contente…
Contentissimo

La storia avrebbe un triste seguito. Quella gabbia in cui era rinchiuso il nostro buon Alì aveva un capocampo inglese di una fetenzia più unica che rara. Usava entrare con un frustino nella gabbia, e distribuiva gratuitamente frustate a destra e a manca. Un bel giorno, non per lui, gli ascari lo fecero fuori, e sepellirono il corpo nei pressi della cucina. Fu un gioco per gli inglesi, aiutati dai cani, ritrovare il corpo. Piazzarono quattro mitragliatrici agli angoli della gabbia. Adunarono gli ascari e spararono nel mucchio. Dal macello si salvarono in dieci. Furono sistemati in una gabbia appositamente costruita di dieci metri per dieci e messi a pane e acqua permanente. Morirono tutti.

Emilio Camozzi

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