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Pubblicato il 30/09/2018

RADUNO ANPDI: IL TESTO DEL DISCORSO DEL GENERALE BERTOLINI

VITTORIO VENETO- Abbiamo finalmente  “sbobinato” il discorso del generale Bertolini che oggi, dopo l’intervento del Generale Sperotto e del Sindaco , ha fortemente coinvolto il pubblico del Raduno .Bertolini è stato  ripetutamete interrotto con applausi scroscianti:

 


I paracadutisti dell’ANPD’I non sono venuti a Vittorio Veneto per commemorare se stessi, quest’anno, anche se questa bella città ha un valore speciale per il paracadutismo militare in generale che è alla base della nostra ragion d’essere. Qui, infatti, per la prima volta al mondo il paracadute, mezzo di salvamento da poco entrato in servizio in conseguenza della nascita della nuovissima arma aerea, venne utilizzato come mezzo operativo: diremmo oggi, per compiere un’operazione speciale o un’operazione di intelligence dietro le linee nemiche ad opera di un tenente degli Arditi, Tandura.


Probabilmente, l’interessato e con lui altri tre Ufficiali Italiani protagonisti di azioni analoghe, non ammantavano la propria azione di tali connotati concettuali e dottrinali, non ne intuivano la portata storica e si accontentavano, più modestamente, di mettere la propria vita a disposizione della Patria per preparare la controffensiva finale. Ben altri, in fin dei conti, erano stati gli ardimenti di cui avevano dato prova i nostri soldati in quegli anni, schiacciati, stritolati, gassati, smembrati sul Carso, sulle Alpi, in battaglie disperate nelle quali la meccanizzazione della guerra e, potremmo dire, l’industrializzazione della morte li falciava in serie, a decine di migliaia per volta.
Ecco, i paracadutisti dell’ANPDI si trovano a Vittorio Veneto oggi, proprio per commemorare quei contadini, quegli studenti che un secolo fa, smessi gli attrezzi di lavoro e abbandonati i libri, risposero alla chiamata del paese imbracciando un’arma, per quella che da subito apparve come qualcosa di molto diverso da una romantica avventura risorgimentale.


E’ una lezione che sarebbe preziosa oggi, se ne sapessimo ancora cogliere il significato, nel momento nel quale ancora l’Italia attraversa una congiuntura difficilissima dalla quale solo la concordia e l’unità di intenti ci può trarre; ora, infatti, è solo l’etica del Dovere, vale a dire di quello che come singoli dobbiamo alla comunità, e non quella dei Diritti, cioè di quello che dalla comunità i singoli pretendono, che ci può indirizzare verso il bene comune.


Commemoriamo quei combattenti con sentimenti di riconoscenza e di ammirazione per le difficoltà, privazioni e rischi che dovettero affrontare e per quello che conquistarono a favore delle generazioni successive: una Patria unita ed indipendente, degna di confrontarsi con le altre potenze europee alla pari e di rivendicare la propria dignità di Stato libero e padrone dei propri destini. Unità ed indipendenza sono valori irrinunciabili che rappresentano ancora, per i paracadutisti dell’ANPDI, il valore supremo da quando, molti anni fa, hanno giurato fedeltà alla Patria. Per questo li pronunciamo senza timidezza anche se, assurdamente, il termine indipendenza ha assunto una valenza divisiva e politica, che non possiamo accettare.


Con la nostra presenza oggi, vogliamo, inoltre, togliere un po’ di polvere dalle tombe dei nostri Caduti, dei nostri vecchi, riappropriandoci di una parte del dolore che provocarono con la loro morte; vogliamo piangerli sostituendoci così alle madri, alle spose scomparse da molto tempo, ai figli cresciuti senza la loro guida, perché sappiamo che non è un semplice per quanto nobilissimo reperto di archeologia morale lo spirito che interpretarono, ma è la parte più nobile del nostro essere Italiani odierni, anche se spesso ce ne dimentichiamo.
E’ insomma, un atto d’amore per l’Esercito la nostra presenza qui oggi, quell’Esercito di cui siamo una sfaccettatura e che per molti decenni, dopo la Prima Guerra Mondiale, veniva sempre pronunciato in abbinamento al termine Patria. Allora sapevamo ancora, infatti, che il Soldato è l’elemento indispensabile che trasforma una semplice società in una Patria e che senza di esso la stessa non può sussistere. Di quell’Esercito, noi paracadutisti rivendichiamo con forza l’eredità dell’arditismo che si originò all’inizio secolo scorso e che venne successivamente raccolta da quelli che furono poi i folgorini di El Alamein e i paracadutisti che combatterono su entrambi i fronti di quella che divenne una tristissima guerra civile in Italia.


L’Esercito di oggi è cambiato nella sua composizione professionale rispetto a quella della coscrizione obbligatoria che molti di noi ricordiamo, ma è ad esso che oggi, da Vittorio Veneto, esprimiamo il nostro filiale affetto. Lo facciamo con particolare convinzione, perché ne conosciamo le difficoltà odierne, causate anche dall’ingratitudine di una società che si illude di poter prescindere da Forze Armate, incapace com’è di leggere quello che sta succedendo di epocale nel bacino del nostro Mare Mediterraneo. E non parlo solo del complesso fenomeno migratorio.

Ecco, siamo certi che sia ancora necessario far riferimento all’Esercito per superare i tanti problemi odierni, senza smaniare per dissipare con esso l’ultimo presidio della nostra indipendenza. Eppure, è da anni che lo si sottoalimenta, riducendone la consistenza organica, marginalizzandone l’importanza col considerarlo semplicemente uno strumento di difesa o di pronta emergenza; uno strumento eventuale quindi, anziché un ordinario e potentissimo strumento di politica estera, fondamentale soprattutto per il nostro Stivale, affondato al centro del Mediterraneo che è un mare nel quale la sopravvivenza è assicurata solo ai paesi forti politicamente, diplomaticamente, economicamente ma anche militarmente.


Per questo, continuiamo ad essere convinti che l’Italia meriti ancora l’impegno di soldati che dimostrano anche in questi tristi anni, in condizioni di grande difficoltà a causa di stanziamenti abbondantemente al di sotto del minimo indispensabile, quanto sia falsa la leggenda di una nostra atavica cialtroneria, superficialità e viltà. Rifiutiamo anche l’idea della criminalità congenita che ci attribuiscono molti rappresentanti del culturame corrente che su questa fola hanno costruito la propria fortuna, convincendoci che è del carceriere e del guardiano di cui abbiamo bisogno, non del Soldato. Si tratta di una bugia alimentata da chi ci vuole sottotraccia, rassegnati, remissivi ed unicamente impegnati a prendere il sole nelle nostre bellissime spiagge, lasciando il campo libero a chi, dall’esterno, vuole curare tranquillamente i propri interessi a due bracciate dalle nostre coste.


Il nostro è un Paese, insomma, che non merita gli appelli alla diserzione di chi spinge i nostri giovani migliori a cercare fortuna all’estero e per il quale vale ancora la pena che giovani coppie di innamorati, maschi e femmine possibilmente, tentino l’avventura di diventare giovani coppie di genitori. Con tanti figli. Perchè non ci sono raduni, cerimonie e discorsi che tengano, se non sapremo proiettare nel futuro molti giovani italiani che raccolgano l’eredità di chi ci ha preceduto. In fin dei conti è questo che ci chiedono i Caduti che oggi commemoriamo; è questo il solo modo che abbiamo per non rendere inutile il loro sacrificio e la loro morte.
Folgore!

 

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