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Pubblicato il 04/05/2014

RASSEGNA STAMPA:

Messaggero Veneto del 4 Maggio 2014

di Enri Lisetto

Tre missioni all’estero, venti mesi, poi la terribile diagnosi al rientro: tumore al polmone. Ha superato la fase critica, ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e l’equo indennizzo, ma la domanda è stata respinta poiché, secondo il ministero della Difesa, «non risultano fattori specifici potenzialmente idonei a dar luogo ad una genesi neoplastica». La storia che raccontiamo vede protagonista un maresciallo dei carabinieri poco più che trentenne in servizio in provincia di Pordenone. Ha partecipato, come comandante di squadra, alle missioni Eulex, da gennaio a luglio 2010, in Kosovo, e Isaf, da febbraio a settembre 2011 e da maggio a settembre 2012, in Afghanistan. Appena rientrato in Friuli Venezia Giulia, scopre di avere contratto una grave patologia all’apparato respiratorio tale da costringerlo a un ricovero all’ospedale Maggiore di Trieste per «linfoadenopatia mediastinica bulky e nodulo polmonare destro». Un mese dopo gli viene diagnosticato un «adenocarcinoma polmonare destro». Nel corso delle numerose missioni internazionali nonché dei servizi di addestramento sul territorio nazionale, «è stato esposto ripetutamente a sostanze nocive per la salute». In particolare, spiega l’avvocato Giorgio Carta, «nelle missioni in Kosovo e Afghanistan il mio assistito è stato esposto ad agenti chimici e a onde elettromagnetiche in un contesto ambientale fortemente inquinato. Soprattutto, però, il militare mi riferisce di essere stato sottoposto dall’amministrazione a numerose vaccinazioni e sospettiamo che queste siano state la causa del tumore contratto». Due anni fa il militare aveva presentato domanda di riconoscimento di causa di servizio per la malattia riscontrata e la concessione dell’equo indennizzo nonché il di riconoscimento dello status di “vittima del dovere”. «L’insorgenza di tale infermità – rileva il legale – è da ritenersi in rapporto di diretta causalità con il servizio prestato ciononostante l’amministrazione ignora entrambe le istanze presentate dal sottufficiale». Il 21 novembre 2012 e il 23 gennaio 2013, lo studio legale Carta deposita due ricorsi al Tar del Friuli Venezia Giulia. Col primo – controparte i ministeri della Difesa e dell’Economia – chiede di annullare il silenzio-rifiuto sull’istanza con la quale il carabiniere aveva chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio nonché la concessione dell’equo indennizzo per la patologia; col secondo – contro i ministeri dell’Interno e della Difesa – l’annullamento del silenzio rifiuto sull’istanza con la quale aveva chiesto l’accertamento dello status di vittima del dovere e la concessione dei relativi benefici. «Il ritardo delle amministrazioni procedenti – rileva il legale – impedisce al ricorrente l’esercizio del diritto di vedersi riconosciuta la propria patologia quale dipendente da causa di servizio». Il 27 febbraio 2014 si pronuncia il Comitato di verifica per le cause di servizio del ministero dell’Economia: «L’infermità – scrivono i commissari – non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio in quanto nei precedenti di servizio dell’interessato non risultano fattori specifici potenzialmente idonei a dare luogo ad una genesi neoplastica. Pertanto è da escludersi ogni nesso di causalità o di concausalità non sussistendo altresì nel caso di specie precedenti infermità o lesioni imputabili al servizio che col tempo possano essere evolute in senso neoplastico». Il 21 marzo scorso l’ultimo verdetto: «La malattia è riconosciuta non dipendente da causa di servizio» e quindi «la richiesta di equo indennizzo è respinta». Contro questi provvedimenti i legali stanno già preparando gli opportuni ricorsi. «La battaglia legale è solo all’inizio – spiega l’avvocato Giorgio Carta – e faremo di tutto per abbattere il muro di gomma creato attorno ai troppi militari italiani che si ammalano ogni mese di gravissimi tumori».

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