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Pubblicato il 15/09/2021

RASSEGNA STAMPA-AFGANISTAN- MINACCE AL PRESIDE DELLA SCUOLA MARIA GRAZIA CUTULI DI HERAT

foto sopra: archivio del sito www.congedatifolgore.com

La Stampa (ed. Milano)
sezione: PRIMO-PIANO data: 15/9/2021 – pag: 15

Herat

Francesco Semprini
inviato a herat
«Preside stai attento, ti veniamo a cercare e ti ammazziamo». A circa mezz’ora di auto dalla città di Herat c’è una scuola in cui si parla italiano, almeno nel nome. È la «Maria Grazia Cutuli School», presidio culturale situato nella porzione più ad Ovest della provincia afghana, dove sino all’8 giugno era di stanza il contingente militare italiano. È intitolata alla giornalista uccisa venti anni fa dai taleban con tre colleghi mentre attraversava le gole di Sorobi, nel tentativo di raggiungere Kabul. Erano le prime fasi dell’invasione dell’Afghanistan in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001. Dieci anni dopo, nell’aprile 2011, la scuola ha aperto i portoni ai bambini di elementari e medie nel villaggio di Kosh Rood, e i suoi mattoni azzurri colorano di speranza la spianata di Jebrael. Si trova in un distretto ad alta concentrazione Hazara, la minoranza sciita, dove la presenza taleban è meno evidente rispetto a Kabul.
È considerata la spina nel fianco dei fondamentalisti, come confermano le bandiere rosse e verdi dei movimenti identitari sciiti. L’influenza di Teheran è forte, come si nota dal vicino confine con l’Iran disegnato dalle catene montagnose. I taleban tentano di imporsi col terrore, come conferma la diffidenza del guardiano dietro la cancellata color ocra della scuola. Nel cortile una targa di marmo dice che l’istituto è stato donato dalla Fondazione Maria Grazia Cutuli col supporto del Prt italiano ad Herat, (la squadra di ricostruzione della provincia) e del Ministero degli Esteri. L’edificio su due piani ospita una decina di classi, c’è la sala insegnanti e l’ufficio del preside.

All’ingresso due bimbe sedute al banco riempiono il registro delle presenze sotto l’occhio vigile di un’insegnante. Per tutte, alunne e maestre, il capo è velato ma il volto no. «The sun is shining», ripete una bimba di otto anni chiamata alla lavagna a pronunciare le frasi in inglese. Il sapere all’istituto Maria Grazia Cutuli è considerato l’argine contro l’oscurantismo che l’Emirato vuole restaurare. Nell’aula accanto una classe di maschi è intenta a ripetere in coro l’alfabeto, mentre più in là i piccoli dell’asilo disegnano case ed aquiloni. Perché a Jebrael di aquiloni ancora ne volano, per quanto non si sa, visto che i tentacoli della piovra fondamentalista hanno preso nella morsa anche l’Istituto Cutuli, a partire dal suo nome.

«La foto è stata appesa sul corridoio per dieci anni, i nostri bambini ricambiavano il sorriso ogni mattina», racconta Shir Ahmad Mohammadi, il preside della scuola. La foto in questione è della giornalista ritratta col velo e gli occhiali da sole, e con un sorriso che racconta la curiosità della cronista. «Lo teniamo in ufficio – spiega Ahmadi – È per proteggere i nostri ragazzi e la stessa Maria Grazia». Se i miliziani lo vedessero esposto potrebbero incenerirlo. Il preside racconta di aver ricevuto minacce e intimidazioni, ma soprattutto dice che ci sono ex alunni che sono diventati taleban: «Conoscono tutto della scuola, potrebbero utilizzare le informazioni contro di noi». Dalla metà di agosto, quando nelle mani dei miliziani delle madrasse è caduta anche Herat, la capitale culturale dell’Afghanistan, sono iniziati gli avvertimenti: «Le maestre possono insegnare solo alle ragazzine, e i maestri ai maschi». La lista dei diktat è cresciuta di settimana in settimana, così i maschi sono ammessi a scuola assieme alle femmine (sempre rigorosamente in classi separate) solo sino alla prima elementare. Alcuni precetti sono stati accompagnati dall’uso delle maniere forti. «La prima volta mi hanno portato via il motorino, la seconda mi hanno picchiato perché avevo disobbedito all’ordine di non recarmi a scuola quando le alunne sono a lezione», racconta Ahmad. «Sono il preside, come posso lavorare senza andare nell’istituto che dirigo, questi bambini hanno bisogno di me».

Il fratello, Sharif Ahmad, anche lui impiegato nell’Istituto, racconta di essere stato costretto a non tornare a casa per evitare guai. Nuove minacce sono arrivate perché le insegnanti donne tengono lezioni ai bambini maschi: «Preside stai attento, ti troviamo e ti ammazziamo». Ma la vera blasfemia della scuola Cutuli è nel nome, i carnefici non possono accettare che la vittima, per di più donna, diventi martire ed esempio per le nuove leve dell’Afghanistan. «Ci taglieggiano non ci fanno arrivare i soldi – dice il preside – non sappiamo come pagare gli stipendi alle maestre, tra un mese saremo costretti a chiudere». Il modo per evitare di morire strangolati c’è, cambiare il nome alla scuola, questo vogliono i miliziani secondo Ahmad. Il preside rivolge un appello all’Italia: «Aiutateci, sostenete la causa della scuola Cutuli», per fare onore alla giornalista caduta, per dare un futuro ai bimbi di Jebrael e per impedire che ad Herat venga ammainato l’ultimo tricolo re.

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