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Pubblicato il 26/07/2021

RASSEGNA STAMPA- ALLA MESSA PER MUSSOLINI IL PRETE ORDINA NIENTE LABARI DEGLI ARDITI

IL RESTO DEL CARLINO DEL 26 LUGLIO
Forlì pag. 4
Messa in memoria del duce «Ma gli Arditi restino fuori»

Volevano entrare con i labari. Ma due di questi recavano il fascio littorio Il sacerdote: «No a simboli politici in chiesa». Confronto con la pronipote


La messa iniziava alle 11.30, circa mezz’ora dopo la commemorazione della nascita di Benito Mussolini. Celebrazione che la famiglia, pur con due diverse richieste, aveva chiesto di dedicare anche all’anima del duce. E mentre il rito domenicale della piccola frazione di San Cassiano in Pennino stava per avere inizio, sulla porta dell’antica basilica sono arrivati alcuni Arditi con i labari, ovvero gli stendardi dell’associazione nazionale. «Non si può», gli è stato risposto. E dunque le camicie nere sono uscite. «E pensare che i patti lateranensi li abbiamo fatti noi», è stato uno dei mugugni dei presenti. «Sarebbe stato giusto ricordare Mussolini con i simboli in cui credeva. Ma il prete è in casa sua», ha tagliato corto un altro di coloro che voleva entrare. Alla fine della messa, sul sagrato, il celebrante don Massimo Tumini (insieme al diacono della parrocchia di Predappio) si è fermato per un breve confronto con Orsola Mussolini, una delle pronipoti del duce, e una delle camicie nere.

«Non possiamo fare entrare simboli politici». Due dei labari avevano il fascio littorio disegnato. «Ma gli Arditi non erano fascisti, hanno combattuto nella prima guerra mondiale – ha replicato l’uomo -. E poi i alcuni simboli del fascio dentro questa chiesa ci sono già, risalgono al Ventennio». Orsola – che, poi, non ha voluto rilasciare dichiarazioni – ha manifestato il suo dispiacere al sacerdote. Entrambi non hanno mai perso la calma: «La prossima volta fateci sapere esattamente cosa c’è scritto sulle bandiere. Sentiremo anche il parere del vescovo».

Secondo gli Arditi, ci sarebbe stato un assenso preventivo e in passato non sarebbe mai stato negato l’accesso alla basilica di San Cassiano. Tuttavia, si tratterebbe di celebrazioni molto lontane nel tempo. Don Tumini è parroco a Premilcuore ma celebra abitualmente la domenica mattina di fianco al cimitero. Sia lui che don Massimo Bonetti, il parroco di Predappio, sono solo da pochi mesi in servizio nella comunità cristiana che vive nel paese natale del duce. È proprio il parroco di Predappio, contattato telefonicamente, a ricostruire l’accaduto: «Verso le 8.30 mi ha telefonato una donna del paese, mentre stavo andando a celebrare un’altra messa altrove, per chiedermi se gli Arditi potevano assistere alla messa con i loro labari e gagliardetti. Alla mia richiesta di spiegazioni, la signora mi ha risposto che si trattava di drappi che ricordavano i caduti in guerra, in particolare della prima guerra mondiale». Questa la parziale spiegazione, a poche ore dalla funzione. Don Bonetti non sapeva, dunque, che sulle bandiere ci fossero anche i fasci littori che hanno spinto il celebrante e il diacono a chiedere agli Arditi di lasciare fuori quei simboli. La messa ha fatto incontrare di persona anche due delle eredi di Mussolini: Orsola (nipote del primogenito maschio del duce, Vittorio, e dunque pronipote di Benito) ed Edda (figlia di Anna Maria e nipote di Benito). Pur breve, non è stato un momento cordiale. Orsola e sua sorella Vittoria hanno riaperto nei mesi scorsi la cripta, nonostante il parere contrario degli altri eredi. E nei giorni precedenti la celebrazione avrebbero chiesto di adottare, per i beneficiari della messa in suffragio, una formula più ampia: «Benito, Rachele, Edda, Vittorio, Bruno, Romano, Anna Maria, Guido e Martina e tutti i nostri cari defunti» (Guido e Martina sono rispettivamente padre e sorella di Orsola e Vittoria). Inizialmente il rito si doveva svolgere in memoria di Benito e della sua quinta figlia, Anna Maria, di cui oggi sarebbe stato l’onomastico (oltre ai Mussolini, comunque, erano previste le intenzioni di un’altra famiglia di San Cassiano). Entrambe le eredi hanno preferito non commentare l’episodio. Marco Bilancioni Quinto Cappelli

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