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Pubblicato il 07/04/2015

RASSEGNA STAMPA: CORSO PER FORZE OPERAZIONI SPECIALI IN VENETO

IL GIORNALE DI VICENZA del 7 Aprile 2014

L´ADDESTRAMENTO. Prova d´esame sui Berici per gli allievi del 4 reggimento paracadutisti che per due giorni hanno attraversato i boschi tra Altavilla e il lago di Fimon


Zona di guerra sui colli per i Ranger alpini

Paola Dalli Cani

Solo un candidato su quattro supera tutti i test La formazione dura complessivamente due anni per riuscire a cavarsela in ogni tipo di ambiente


Un gruppo di Ranger si inoltra sui colli Berici.

Mimetica, fucile, zaino, cartina: prova d´esame sui colli Berici per gli allievi Ranger del 4 Reggimento alpini paracadutisti. Per due giorni 17 allievi del 20 Corso Obos (Operatore basico per operazioni speciali) con i loro istruttori hanno attraversato a piedi e zavorrati una decina di chilometri delle colline tra Altavilla, Brendola, lago di Fimon, Arcugnano e Pozzolo di San Germano dei Berici: era una delle prove ad esclusione immediata che costituiscono il percorso formativo, lungo 20 settimane, di chi al termine sceglierà se proseguire la formazione da Ranger, oppure da Incursore oppure da Acquisitore obiettivi. Ci vorranno due anni complessivi di formazione per entrare, poi, in una delle unità del Comfose, il Comando forze speciali dell´esercito.
I Ranger sono uomini iper specializzati, rigorosamente paracadutisti, che vengono addestrati a cavarsela in qualsiasi ambiente e in qualsiasi frangente: aria, acqua e terra, a partire dall´ambiente montano. E proprio a terra si è svolta la prova di orienteering, «o meglio di attività topografica, che è l´abc del Ranger», spiega il colonnello Salvatore Radizza, comandante del 4 Reggimento alpini paracadutisti “Ranger” di Verona.
Ad Altavilla ci sono arrivati alla cieca, partendo dal capoluogo scaligero dove da quasi cinque anni ha trovato casa il comando dopo il trasferimento da Bolzano, all´interno di camion con i teloni scuri. Non è la prima volta che approdano in terra berica, «il comprensorio offre ottime sfide ambientali alla preparazione», riconosce Radizza. Una volta giunti sul posto, dopo l´ultimo briefing, è iniziata la prova: ai 17 candidati (che sono militari provenienti da altri reparti), è stato chiesto di indicare (cartina volutamente lesionata in alcuni punti, bussola e coordinatometro alla mano) dove si trovassero. Poi, organizzate batterie da tre persone e scandita la partenza con il countdown, è iniziata la prova.
«Tre percorsi diversi lungo circa tre chilometri e tre obiettivi da raggiungere in un tempo stabilito. L´esame non è per noi e quindi prima di tutto viene l´onestà verso voi stessi». Gli obiettivi sono tre “paline” che al loro interno hanno tre diverse punzonatrici: vanno utilizzate per “timbrare” la tabella che ognuno ha con sé e che dimostra il passaggio dai punti indicati. «Tempo massimo 5 ore e 40 minuti. Sufficienza con 2 paline entro 4 ore e 40 minuti, massimo dei voti con 3 paline sotto le 3 ore e venti». Lungo il percorso si mimetizzano gli istruttori che terranno d´occhio il comportamento degli allievi: qui chi fa il furbo è fuori. Nessuna strada asfaltata, attenzione massima nelle proprietà private, zero contatti con le persone (compagni di corso o residenti che siano): si comunica via radio utilizzando un nome in codice. Perché questo, già entrando da allievi, i futuri Ranger perdono: l´identità. «Tolto il comandante – spiega Radizza – siamo uomini senza volto. Lo richiede l´appartenenza alle Forze speciali. È una quesione di protezione personale e di tutto il reparto». Addosso tutto il necessario per sopravvivere una giornata, nello zaino 20 chili di quel che serve per 48 ore: hanno anche un “fucile”, ma è un´arma finta che tecnicamente si chiama simulacro.
«A gennaio siamo partiti in 28, ma in 11 hanno rinunciato dopo poche settimane: chi tiene duro sa qual è la posta in gioco, e sa che ad ogni prova si gioca tutto», spiega il comandante. Su 100 candidati “Ranger” solo 25 lo diventano a tutti gli effetti. C´è il sole sulle colline vicentine: la prossima volta potrebbe essere di notte, oppure sotto pioggia e neve, com´è accaduto ad Asiago solo qualche settimana fa ai 13 ultimi Ranger qualificati.

Gli specialisti impiegati
nelle azioni più rischiose

Questione di resistenza: almeno due ore di preparazione fisica al giorno e poi un investimento straordinario in quella psicologica. Tenere a bada l´istinto di sopravvivenza non è da tutti: per questo non si può essere un Ranger se non si è, prima, un paracadutista.
I Ranger del 4 Reggimento alpini paracadustiti costituiscono uno dei cinque componenti del Comando forze speciali dell´esercito che ha sede a Pisa, di cui fanno parte anche il 9 Reggimento d´assalto paracadutisti “Col Moschin” (a Livorno), il 185 Reggimento ricognizione acquisizione obiettivi (a Livorno), il 28 Reggimento comunicazioni operative “Pavia” (a Pesaro) ed il 3 Reggimento elicotteri operazioni speciali “Aldebaran” (a Viterbo). Quanti siano non è dato sapere: la cittadella veronese che ospita il comando conta, complessivamente, un migliaio di persone. Sono stati impegnati in Mozambico nel 1993, in Bosnia dal 1997 al 2004, in Afghanistan (dal 2002 al 2008), in Iraq dal 2004 al 2006 ed in Libano dal 2007 al 2010. Attualmente si trovano, tra l´altro, ad Herat e Farah (Afghanistan) nell´ambito del Regional command west ed in Somalia. «Veniamo impiegati come forza d´urto in azioni dirette, cioè imboscate, raid, colpi di mano in ambienti estremi che vengono raggiunti infiltrandosi per terra, per acqua e per aria», spiega il colonnello Radizza. Per questo la formazione è non solo continua ma anche multidirezionale perché i Ranger sono “macchine” terrestri, anfibie e aree. Vengono impiegati in missioni di 4-6 mesi in ricognizioni speciali, assistenza militare, combattimento per la prevenzione e gestione di conflitti come per operazioni di peacekeeping.
Ecco perché, nel corso dei 24 mesi di addestramento, c´è spazio per il combattimento, la topografia militare, le armi in dotazione ma anche per le tecniche di sopravvivenza, evasione, fuga e gestione dell´interrogatorio.
P.D.C.

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