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Pubblicato il 05/06/2019

RASSEGNA STAMPA- IL CORRIERE DELLA SERA PARLA DEL GIS

CORRIERE DELLA SERA
L’INTERVISTA

5 giugno 2019 – 08:04

«Preparazione e tecnologia, ma il segreto del corpo d’élite è il supporto delle mogli»

Il colonnello Carletti che guida il Gis. Mercoledì 5 giugno si terrà la festa dell’Arma a Tor di Quinto. «Per fare bene questo lavoro è indispensabile l’aiuto delle nostre famiglie. È cambiato il modo di addestrarsi, solo il 30 per cento passa le selezioni»

di Rinaldo Frignani

«Nel valore del singolo la forza del gruppo». E per gruppo non si intende solo il reparto speciale che il mondo ci invidia — quello è il suo motto —, ma anche le famiglie dei carabinieri che ne fanno parte. «Le nostre mogli, soprattutto. Senza di loro le nostre vite non sarebbero le stesse, noi non potremmo fare con tranquillità quello che facciamo. Ce le teniamo strette, le coccoliamo». Per il colonnello Marco Carletti, da un anno e mezzo al comando del Gruppo di intervento speciale, fra le mura domestiche si nasconde uno dei segreti del successo dell’unità d’élite delle forze armate che oggi parteciperà ai festeggiamenti per il 205° anniversario della Fondazione dell’Arma. Quasi mezzo secolo al servizio del Paese: il Gis, inquadrato nella 2ª Brigata Mobile, è stato istituito il 6 febbraio 1978, in piena emergenza terrorismo. E sempre mercoledì sarà insignito della medaglia d’oro al valor civile.

Colonnello, da allora è cambiato tutto, o quasi.
«Lo scenario sì. Non ci addestriamo solo per affrontare obiettivi statici, ma sempre più dinamici. Meno crisi con potenziali pericoli negli edifici e più situazioni all’aperto, in strada. Il nostro addestramento è concentrato su questo aspetto: combattere in scenari urbani, con persone che sparano e fuggono, che si muovono fra la gente. E qui la tecnologia gioca un ruolo sempre più importante».

L’ultimo intervento che vi ha visto protagonisti?
«La presa di ostaggi alle Poste di Pieve Modolena, in provincia di Reggio Emilia, nel novembre 2018. Un’operazione portata a termine grazie alla sinergia con il comando territoriale e il loro negoziatore di primo livello. Il soggetto (Francesco Amato, condannato nel maxi processo di ‘ndrangheta Aemilia, ndr) era armato di coltello, lo puntava alla gola delle vittime. Aveva un atteggiamento aggressivo, per di più in un ufficio con porte e finestre blindate. Ci siamo preparati all’irruzione, poi però abbiamo fatto leva sui suoi sentimenti. E alla fine si è arreso».

Ma gran parte della vostra attività è lontana dai riflettori.
«Ogni giorno, in pronto impiego, partendo da Livorno. In Italia e se serve anche all’estero, almeno per le operazioni di polizia (dal 2009 c’è il reciproco supporto fra Stati europei), perché per quelle militari l’impegno del Gis oltre confine è continuo dove le nostre forze armate sono già in missione».

L’antiterrorismo è sempre il maggior impegno?
«Siamo anche a disposizione del ministero dell’Interno. Inoltre addestriamo le nostre Api e Sos (Aliquote primo intervento e Squadre operative di supporto), alle quali forniamo consulenza tecnico-operativa. Abbiamo una doppia anima, unica al mondo: quella militare e quella di polizia. Mentalità diverse che riutilizzano esperienze maturate in entrambi i campi».


Quanti siete? Quanto restate nel Gis?

«È segreto, qualche decina. In media non ce ne andiamo prima di 15-20 anni. Per questo alla fine siamo una famiglia allargata e compatta. Molti di noi sono sposati, hanno figli. Ma è una vita di sacrificio, bisogna esserci tagliati, e avere accanto le persone giuste. Chi rinuncia — la percentuale è bassa — lo fa per tornare a una routine più tranquilla. La serenità a casa è fondamentale».

E poi già solo entrare da voi è un’impresa.
«Il passaggio obbligato è il Tuscania (1° Reggimento carabinieri paracadutisti), alla selezione per il Gis passa solo il 30%. E a quella nostra un altro 30%». Un’impresa, certo, ed è solo l’inizio.

5 giugno 2019 | 08:04

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