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Pubblicato il 16/05/2022

RASSEGNA STAMPA- IL GENERALE BATTISTI : SVEZIA E FINLANDIA SONO GIA’ INTEGRABILI CON LA NATO

LA STAMPA DEL 16 MAGGIO 2022


ROMA. Sono meccanismi assembleari e complicati, quelli dell’Alleanza atlantica, incentrati sempre su un doppio binario, politico e militare. Uno che quei meccanismi li conosce bene è il generale Giorgio Battisti, che è stato il capo di stato maggiore della missione Nato in Afghanistan negli anni in cui era anche comandante del Corpo d’Armata di Reazione Rapida della Nato in Italia. Non più in servizio attivo, è il presidente della Commissione Militare del Comitato Atlantico Italiano, un centro studi collegato all’Alleanza. Battisti non è troppo stupito del freno attivato dalla Turchia, «ma anche la Croazia ha espresso dubbi». Epperò lo colpisce la motivazione addotta da Erdogan, cioè che l’ingresso di Finlandia e Svezia sarebbe un «errore» come fu l’ingresso dell’arcinemica Grecia nella Nato. «Non ci dice in che consiste questo presunto errore, con cui comunque convivono da settant’anni».


Forse il presidente Erdogan si riferirà agli ingranaggi che non filano mai lisci quando ci sono di mezzo Turchia e Grecia.
«Da comandante, ho avuto con me ufficiali e contingenti di entrambi i Paesi e mai c’è stato un problema. A livello militare, le cose sono sempre andate lisce. Non escludo che ci fossero ordini precisi, di non creare problemi. D’altra parte eravamo in Afghanistan, i problemi erano ben altri».

E poi l’Afghanistan rappresentava una sorta di campo neutro per i rispettivi interessi nazionali. Si dice che l’atteggiamento turco in Iraq sia ben diverso.
«Dell’Iraq non saprei dire. Dell’Afghanistan, posso testimoniare che i due contingenti lavoravano bene assieme».

Quindi, da comandante, non ha dovuto fare equilibrismi per farli convivere?
«Sarò stato fortunato… Mai. Sarà stato merito anche di un certo cameratismo che nasce tra militari, anche di Paesi diversi, quando si è inviati in zone pericolose».

Eppure tra turchi e greci sono scintille da sempre.
«E infatti, quando entrarono nella Nato, nel lontano 1952, si provvide a farli entrare all’unisono».

Perché nessuno dei due potesse esercitare il diritto di veto sull’altro, probabilmente. Come invece è poi accaduto per Cipro.
«Infatti Cipro non è membro della Nato. Parla chiaro la sua storia: Cipro ebbe l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1960, ma le tensioni tra le due comunità non sono mai cessate. Se da quel momento qualche governo cipriota avesse pensato di entrare nell’Alleanza, ci sarebbe stato il veto turco. Dopo il 1974, poi, quando i militari ciprioti tentarono un colpo di Stato per chiedere l’annessione alla Grecia, e la Turchia fece il blitz su Cipro Nord, la situazione è congelata ed è inimmaginabile un percorso di adesione all’Alleanza. Pochi ricordano che a Cipro c’è una forza di interposizione dei Caschi Blu da allora».

Ricordiamolo: occorre l’unanimità dei membri, per accogliere un nuovo Stato nell’Alleanza. Quindi si fanno sempre valutazioni di tipo geopolitico?
«Il Trattato è esplicito: nell’Alleanza si entra per invito; lo scopo è difensivo, i nuovi membri devono partecipare alla difesa delle frontiere esterne dell’Alleanza e alla stabilità generale. Un Paese, come è adesso per la Finlandia, forse anche la Svezia, può esprimere un desiderio. Ma da lì parte un percorso di colloqui e lettere formali, abbastanza lungo, in sette passaggi, che termina con un invito formale all’ingresso. Nel mezzo ci sono i diversi passaggi e infine le ratifiche dei Parlamenti nazionali, oggi 30. Si valuta la qualità della democrazia degli aspiranti. Il rispetto dei diritti umani. E naturalmente, a livello tecnico, si verifica lo stato delle forze armate di chi entrerebbe».

Per i Paesi balcanici come Albania o Macedonia del Nord l’anticamera è stata lunga.
«Appunto».

Questioni che con la Svezia e la Finlandia sembrano invece molto rapide.
«Ricordo solo che entrambi quei Paesi partecipano alle missioni Nato da tempo, pur come membri esterni. Sempre per tornare alla mia esperienza in Afghanistan, i contingenti svedesi e finlandesi erano integrati al Nord sotto il comando tedesco. E chiaramente accoglievamo noi le loro autorità, militari e politiche, quando erano in visita a Kabul. Da un punto di vista militare, sono forze armate immediatamente integrabili, come spero avverrà. Delle garanzie democratiche, non penso ci sia da parlare».

Scusi generale, ma l’unanimismo, che è un fardello per l’Unione europea, non è un problema per una missione della Nato all’estero?
«No, perché l’unanimità occorre nella fase decisionale, quella politica. Bruxelles elabora una missione; i governi la valutano, e se accettano, con un voto formale, scatta una cessione di sovranità e il comandante a quel punto esercita il comando sul campo. Non è che ogni volta, ogni settimana, ripartiamo daccapo. Ovviamente, però, se la missione cambia in profondità, da “peace keeping” a “combat” per dire, allora è ovvio che si torna al livello politico».

I singoli Stati partecipanti, però, possono imporre i famosi “caveat”, le restrizioni, sulle azioni dei loro cotingenti?
«Certo. I “caveat” sono molteplici. Per fare qualche esempio: c’era chi vietava l’uso dei suoi elicotteri alla notte; oppure chi vietava l’uso di mezzi blindati per pattugliare i centri urbani. Un Paese europeo che non citerò, aveva messo 70 “caveat” all’uso del suo contingente in Afghanistan. Sono restrizioni che vengono imposte in partenza, sono dichiarate, note agli altri partecipanti, e che restano segrete all’esterno».

E come si comporta a quel punto un comandante?

«Si arrangia. Fa lo slalom tra i diversi “caveat” nazionali e usa chi può per raggiungere lo scopo».

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