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Pubblicato il 05/04/2015

RASSEGNA STAMPA: ILCORRIERE DELLA SERA PARLA DEI SOLDATI ITALIANI A MOGADISCIO

CORRIERE DELLA SERA -5 APRILE 2015

La portiera da 300 chili del Lince si chiude con rumore metallico. Al volante Maria Salinas, fuciliere assaltatore, controlla le cinture di sicurezza. Con Roberta Palmas forma un duetto di «sorelle» italiane nella Missione militare Europea a Mogadiscio. Il blindato esce dalla base all’interno dell’aeroporto. Un fuciliere veglia dalla torretta girevole, con le mani sul mitragliatore. Il jammer , dispositivo elettronico di protezione, viene attivato, in modo da ostacolare segnali con cui potrebbero essere innescati ordigni radiocomandati. Il Lince si accoda ad altri quattro veicoli quando il sole non ancora caldo si riflette nel turchese dell’Oceano. La meta è il Jtc, il campo di addestramento: 3 chilometri di strada, con il rischio di mine e di attacchi.

E’ l’Europa ad addestrare i soldati somali che combattono al-Shabab. E gli italiani sono il 65% del contingente Eutm che conta 75 militari (presto 109). Non escono dalle basi, tempo libero in palestra o su Skype con i familiari. E’ stato il comandante uscente della missione, il generale Massimo Mingiardi, a spostare l’addestramento dall’Uganda a qui: un segnale forte ai terroristi. «Quando a gennaio sono arrivato nel cielo di Mogadiscio – ha raccontato Mingiardi – due lacrime sono scese perché dall’alto ho rivisto la stessa distruzione di vent’anni fa». Mingiardi è stato in Somalia fino al giugno 1993, pochi giorni prima della battaglia al «check-point Pasta» in cui persero la vita tre nostri soldati.

Italiani di nuovo in azione. «Il nostro impegno è aiutare questo Paese e non abbandonarlo ancora una volta». Dal 9 marzo Mingiardi ha passato il comando della Training Mission a un altro italiano, il generale degli Alpini Antonio Maggi. «Sono colpito dalla vicinanza dei somali verso l’Italia e la sua cultura, e dal fatto che alcuni parlino ancora la nostra lingua» dice Maggi appena insediato alla base di Mogadiscio. «Questa gente ha bisogno di pace e merita un futuro migliore».
Al Shebab permettendo. Gli addestratori italiani hanno già servito in Afghanistan, e alcuni anche in Kosovo. Nessuno si sente di fare confronti: «E’ una guerra del tutto diversa». «Non esiste una linea del fronte» dichiara Scheik Issa, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, all’interno di Villa Somalia, sede del Governo di Transizione.

Ma il generale Issa assicura che i miliziani hanno perso gran parte del loro potere: «Pensiamo di poterli rendere inoffensivi. La loro guerra è anti-islamica, contro i principi della nostra stessa religione». Villa Somalia, ricordo dell’occupazione italiana terminata nel 1960, da una collina sovrasta quella che fu la cattedrale più grande d’Africa, nel centro di Mogadiscio, oggi ridotta a rudere e latrina per gli sfollati.

Alessandra Morelli, responsabile dell’Alto Commissariato per i Rifugiati Onu (Unhcr) per la Somalia, l’anno scorso fu oggetto di un attentato kamikaze mentre rientrava alla base dopo una visita in città; il blindato la salvò dall’autobomba. Oggi spiega che gli attacchi di Al-Shabab in Kenya hanno inasprito i rapporti con il governo di Nairobi. E’ chiaro che destabilizzare l’intero Corno d’Africa – dice Morelli – è l’obiettivo dei miliziani . «E’ stato difficile dissociare la popolazione somala, e in particolare gli sfollati, dal terrorismo. Sicuramente la capacità e l’intento dei terroristi non svaniranno nei prossimi anni».

Il colonello Giovanni Dario, consigliere strategico della missione europea, spiega che occorre consolidare la presa del governo e dell’esercito somali sui territori già liberati, che oggi ammonterebbero a circa l’80% del territorio. Le elezioni previste per il 2016 sono la prima preoccupazione di Fabrizio Marcelli, primo ambasciatore italiano in Somalia dopo 23 anni di assenza. Il terrorismo, confida un interprete alla base degli europei, non si combatte solo con le armi, ma con la volontà del popolo somalo.

MOGADISCIO.ROVINE

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