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Pubblicato il 29/07/2017

RASSEGNA STAMPA: LA PROVINCIA DI COMO PARLA DEL PARACADUTISTA WALTER CECCHETTIN AMMALATO DOPO LA MISSIONE IN KURDISTAN NEL 1992

La Provincia di Como
pagina: 43 sezione: Provincia data: 29/07/2017

«Io, il parà malato per colpa dell’uranio E una vita stravolta»

La storia C’era anche il soldato di Lasnigo a Roma per rivendicare il diritto a essere curato dallo Stato «In Iraq per 70 giorni, ho subito tredici operazioni» (A SINISTRA NELLA FOTO, NDR)
Sono passati oltre vent’anni dalla fine della guerra del Golfo e grazie alla caparbietà dell’ex caporale maggiore Walter Cecchettin del Battaglione Logistico Paracadusti “Folgore” si riapre la strada dei risarcimenti per i militari che hanno subito danni dovuti alla presenza di uranio impoverito sui siti di combattimento. A breve infatti è prevista un’audizione parlamentare che potrebbe portare buone notizie e cancellare una pagina di certo ingloriosa del rapporto tra lo Stato e i suoi primi servitori ovvero i militari impegnati in zone di conflitto.
Ricevuti dalla Commissione
Nella giornata di martedì una delegazione di familiari di persone e soldati coinvolti negli episodi legati all’uranio impoverito – settemila malati circa e 344 deceduti – ha fatto un sit-in a Roma con uno striscione davanti a Montecitorio. Cecchettin è stato ricevuto a Palazzo San Macuto con alcuni parenti dal presidente Pd della commissione d’inchiesta sull’uranio Gian Piero Scanu e dal braccio destro del presidente della camera Laura Boldrini, Carlo Leoni. «A Walter è stata data la possibilità di un’udienza parlamentare, lui però non ha voluto personalismi, ha sottolineato che lui parlerà perché può farlo ma rappresenterà anche e soprattutto chi non c’è più e vuole siano presenti anche gli altri militari colpiti – spiega Nunzio Rotunno, un carabiniere in congedo del Tuscania che segue Cecchetin in questa battaglia – L’udienza sarà a settembre. Anche il presidente Pd della commissione d’inchiesta Gian Piero Scanu ha precisato che la Difesa e i partiti hanno bloccato la legge per le morti da uranio. Si muove qualcosa, insomma e tutto parte da Cecchettin e dalla sua volontà di continuare a lottare. Non vede l’ora di arrivare a settembre per discutere, e non solo la sua pratica. Lo Stato non ha mai riconosciuto il legame tra le malattie dei militari e l’utilizzo di uranio». Cecchettin, 46 anni di Lasnigo, sposato con due figli era in missione in Iraq durante la Guerra del Golfo. Vi era rimasto per 70 giorni, dal 6 dicembre 1990 al 19 novembre 1991, nell’area in cui sarebbero state rilasciate 286 tonnellate di uranio. Dopo il periodo di missione per il paracadutista erano iniziati i problemi fisici, che lo avevano portano a subire tredici operazioni, sette delle quali per asportare tumori con i relativi cicli di chemioterapia, due i trapianti midollo osseo. E adesso si trova a vivere con un cuore gravemente danneggiato, con una funzionalità del 23%, aiutato da peacemaker. «Purtroppo i molti cicli di chemioterapia hanno portato ad un irrigidimento di un muscolo come il cuore, che funzionava al 32%, poi è ulteriormente peggiorato scendendo al 23% – spiega l’ex caporale maggiore – Il mio stato di salute è questo, ma c’è chi ci ha lasciato la vita in questi anni».
Il cuore che fatica
A Cecchettin e non solo a lui non sono stati riconosciuti aiuti, anche le cure le ha dovute pagare in proprio: «Già nel 2001 avevo richiesto la pensione privilegiata per l’infermità riconosciuta, ma nel 2002 la mia richiesta è stata rigettata. Questo perché la domanda era stata presentata ben oltre i 5 anni dalla data di congedo. Ma come molti altri non avevo idea di quali fossero le cause della malattia, solo dopo ho capito il legame tra le missioni e il cancro». In Iraq Cecchettin era a contatto con i militari Usa e si stupiva del loro “vestiario”: «Erano coperti completamente da tute e avevano delle maschere, nelle stesse aree in cui noi operavamo con un fazzoletto davanti alla bocca – spiega a questo proposito -. Dell’uranio impoverito lo abbiamo saputo solo nel 2000 quando si è iniziato a parlare di Sindrome del Golfo e d’allora ci siamo attivati per chiedere il riconoscimento dell’invalidità contratta per causa e dipendenza del servizio». Una battaglia non ancora del tutto finita.

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