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Pubblicato il 06/06/2020

RASSEGNA STAMPA- LA REPUBBLICA PARLA DEI CARABINIERI PORTATORI DI STABILITA’ NEI PAESI DEBOLI DEL MONDO

la Repubblica ed. Nazionale
sezione: MONDO data: 6/6/2020 – pag: 23

La missione internazionale

Dalla Somalia al mondo I carabinieri inventano le polizie di stabilità

di Gianluca Di Feo

Il colonnello non ha avuto mai paura di Mogadiscio. Mentre gli altri occidentali si muovono con veicoli blindati e scorte armate nel timore di attentati, ha continuato a circolare su una vecchia auto civile. Non è spavalderia, ma la consapevolezza che nonostante tutto in Somalia i carabinieri godono di un antico rispetto. Ci sono sempre stati, ai tempi in cui era una colonia e quando poi l’Onu ha affidato all’Italia il compito di accompagnare l’indipendenza. C’erano le reclute locali, gli zaptie, e in tutte le fasi della travagliata storia somala i militari dell’Arma non sono mai stati visti come un simbolo di dominazione, ma come portatori di sicurezza: stranieri venuti per aiutare a vivere in pace.

Questo è lo stesso spirito che oggi permette ai carabinieri di gestire la formazione di forze dell’ordine in tutti i Paesi più fragili del Pianeta: dall’Iraq all’Afghanistan, dai Balcani all’Africa centrale. Un modello riconosciuto dall’Onu e consolidato attraverso la creazione di una scuola a Vicenza, che ha già diplomato 12 mila allievi di 122 nazioni. La natura ibrida dell’Arma, corpo militare che si occupa di polizia sul territorio, è perfetta per gli Stati che vogliono superare le ferite di guerre civili e campagne terroristiche: vengono chiamate “polizie di stabilità”. A livello internazionale, sono considerati i migliori istruttori in assoluto. Questo dipende dalla tradizione stessa dei carabinieri, che in passato erano abituati a valorizzare le differenze tra le origini regionali dei militari: friulani o siciliani, sardi o piemontesi, ognuno aveva una carattere specifico che poteva trasformarsi in una risorsa. Un approccio che funziona anche nell’addestrare i reparti curdi o kosovari: non li costringiamo ad adottare standard occidentali, ma adattiamo i corsi e la struttura dei reparti alla loro indole. Perché l’obiettivo non è sconfiggere i nemici, ma convincere la popolazione.

Tra le tante, la missione somala è sicuramente la più complessa: una terra desolata da scontri etnici e povertà, a cui poi si è aggiunto il feroce dominio fondamentalista degli shabab. Tutte le istituzioni vanno ricostruite da zero. Dal 2015 l’Arma si è fatta carico di reinventare la polizia. Prima da Gibuti, poi nell’aeroporto di Mogadiscio: ormai si è arrivati al dodicesimo corso, con l’addestramento di quasi duemila agenti, incluso personale femminile. Grazie a finanziamenti di diversi ministeri è stata rimessa in funzione la sede dell’accademia, edificata durante l’amministrazione italiana nel dopoguerra: qui persino i regolamenti sono ancora nella nostra lingua. L’ultima attività è stata la creazione di reparti di “polizia pesante”, le compagnie Darawish con trecento uomini a cui affidare il pattugliamento delle zone dove più forte è la minaccia islamica: uno squadrone a cui sono state fornite competenze e mezzi, passato direttamente dalla scuola ai quartieri più pericolosi. “Saranno una forza importante per la sicurezza della popolazione”, ha spiegato il comandante somalo.

In questo atlante della cooperazione, che vede impegnati oggi cinquecento carabinieri, ci sono iniziative molto particolari. In Ruanda, Uganda e Zambia hanno fatto lezione ai ranger che proteggono gli animali più rari del pianeta nei grandi parchi naturali. E c’è l’intervento con l’Unesco per difendere i tesori archeologici iracheni devastati dall’Isis e dai predoni: gli specialisti del Comando tutela patrimonio culturale insegnano agli operatori del ministero di Bagdad come proteggere il loro patrimonio. D’altronde, il sostegno alle autorità irachene e curde è stato massiccio: dal 2014 l’Arma ha preparato 34 mila agenti locali. Un’attività che non si è fermata neppure per il Covid, che invece a Roma ieri ha obbligato a celebrare il 206mo anniversario della fondazione in maniera ridotta, con una corona alla memoria dei caduti deposta dal comandante generale Giovanni Nistri. Il presidente Mattarella ha sottolineato come l’opera dei carabinieri durante la pandemia “ha confermato quel rapporto di naturale relazione e fiducia con la gente, garantendo la prossimità rassicurante dello Stato, solidarietà e concreta assistenza”. In Italia e in tanti Paesi del mondo.

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