Pubblicato il 22/01/2025
RASSEGNA STAMPA- PARLA UN PARACADUTISTA ISRAELIANO

Nella Striscia
La guerra a Gaza vista attraverso gli occhi di un soldato israeliano
Linkiesta.it 22/01/25
Sofia Tranchina «Il popolo di Israele è dietro di noi» si sente al ricevitore. Dall’attacco del 7 ottobre 2023
alla lotta nei tunnel di Hamas, fino alla tragica perdita del fratello gemello, il comandante israeliano Adam Mizrachi condivide la sua esperienza sul campo tra storie di sacrificio e pensieri sul futuro Sofia Tranchina Agli inizi di un controverso cessate il fuoco tra Israele e Hamas, il soldato e comandante israeliano Adam Mizrachi, ventiquattro anni, ci racconta cosa significa essere un combattente a Gaza, affrontare la perdita di una persona cara in guerra, e raggiungere un accordo. Dopo aver prestato servizio nell’unità paracadutisti, e completato un corso per diventare comandante, Adam ha trascorso un anno e mezzo a formare nuove reclute.
Cresciuto nel sionismo religioso di Rav Kook, considerava un onore difendere la sua nazione prestando servizio militare.
Sabato 7 ottobre aveva appena terminato la leva obbligatoria. «Avrei dovuto festeggiare con Yosef, il mio fratello gemello, la fine per entrambi del nostro servizio militare», racconta.
Ma, quella mattina, le notizie e le immagini dei camioncini bianchi dei terroristi gazawi, che bucavano il confine con Israele e si avvicinavano a Sderot, cambiarono tutto.
Nel caos che seguì l’attacco, gli ordini dei superiori tardavano ad arrivare. Adam decise di prendere l’iniziativa e di radunare i suoi soldati senza perdere tempo.
E, dato che non avevano giubbotti antiproiettile per tutti, e non c’era il tempo di aspettare le consegne ufficiali, uno dei suoi soldati ha scassinato il deposito delle munizioni per prenderli.
Subito dopo, divisi tra elicotteri e fuoristrada, si sono diretti verso sud, sul luogo del massacro.
«Lungo la strada per Re’im abbiamo visto a terra quattro lavoratori thailandesi mutilati. Così abbiamo iniziato a capire la gravità della situazione», spiega Adam.
Proseguendo verso l’insediamento di Erez, hanno assistito a una scena il cui orrore ancora li perseguita, circondati da cadaveri: «Un forte odore di morte mi bruciava le narici. Nulla avrebbe potuto prepararmi a tanto».
Lì, la sua squadra – equipaggiata di armi pesanti e con i cecchini – è riuscita ad impedire ulteriori incursioni.
Dopo tre giorni, trascorsi ad espugnare l’area dal controllo dei terroristi, la sua unità è stata trasferita a Sderot, per il lento e delicato compito di recuperare e ricollocare i corpi delle vittime, identificando via via i brandelli umani.
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