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Pubblicato il 15/01/2014

RASSEGNA STAMPA. PARLANO I COLLEGHI DI FABRIZIO QUATTROCCHI AL TEMPO DI ROMA

IL TEMPO del 15 Gennaio 2014

SICUREZZA
“Noi, Quattrocchi e i marò dimenticati”
Parlano Stefio, Agliana e Cupertino rapiti in Iraq “Facciamo sicurezza sulle navi, l’Italia non ci tutela”

Due fucilieri di Marina «ristretti» da due anni nell’ambasciata d’Italia a New Delhi, due servitori dello Stato in servizio antipirateria, in base ai trattati internazionali, accusati loro stessi di pirateria. Un paradosso che vede l’Italia ridicolizzata dalla melina della magistratura indiana e dal doppiogiochismo del governo di New Delhi. In questa storia le autorità italiane sono all’inseguimento di risposte, intrappolate nella palude dei rinvii e dell’incapacità di gestire un affaire internazionale senza perdere la propria dignità e senza mettere a rischio la libertà e la stessa vita di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.

Una storia che mette in luce tutta la debolezza diplomatica del nostro Paese disposto a mettere da parte la sovranità nazionale a favore di un business non sempre certo. Una storia che evidenza anche la carenza legislativa che regola certi servizi di sicurezza. Così in mancanza di normative sono stati spediti sulle navi mercantili battenti bandiera italiana, in navigazione nelle acque infestate dai nuovi pirati, soldati in servizio effettivo invece di affidare questi compiti a «contractors» privati così come fanno le marinerie di mezzo mondo. E in Italia non mancano agenzie specializzate in questo tipo di lavoro. «Private military company», agenzie che occupano ex appartententi alle forze speciali e che hanno un giro di affari nel mondo di diverse decine di milioni di dollari.

Dieci anni dopo l’Iraq, incontriamo Stefio, Cupertino, Agliana, i tre contractors scampati alla furia degli aguzzini islamisti che ammazzarono il loro amico Fabrizio Quattrocchi, trucidato mentre gridava «vi faccio vedere come muore un italiano». Salvatore Stefio ricomincia da «Resurgit». Catturato nei pressi di Baghdad con i compagni, e prigioniero per 58 giorni delle Brigate Verdi di Maometto, oggi è titolare con Agliana della società «Resurgit» che si occupa di garantire un vasto campionario di servizi nel settore della protezione, difesa e servizi antipirateria. «Sono cinque anni che la nostra società è sul mercato – spiega Stefio – impegnata nella gestione del rischio e nella formazione di operatori della sicurezza. Ci occupiamo anche dell’addestarmento per sopravvivere in caso di cattura o sequestro». Sono presenti in Africa, America Latina, Asia. Lavorano in Libia, Nigeria, Belize: tutti Paesi dove la vita è in gioco in ogni istante per stranieri, imprenditori o semplici operai di compagnie occidentali. Hanno messo a frutto l’esperienza irachena: «All’epoca scrissero che non avevamo la preparazione adeguata, ma non era vero. Tutt’altro. Proprio grazie alla nostra preparazione siamo riusciti a non perdere la testa». Ma Fabrizio Quattrocchi ha perso la vita. «Purtroppo è stato tutto così improvviso appena pochi giorni dopo la cattura – ricorda Stefio – All’epoca non si sapeva fino a che punto potevano spingersi certi gruppi estremisti. Quell’esperienza ci è servita per approfondire i metodi di resistenza in caso di cattività e l’atteggiamento da assumere. Questo settore è in continua evoluzione».

Così l’ex prigioniero dei terroristi iracheni, che i tribunali non hanno considerato tali, ora insegna ai privati cittadini, operatori della Croce Rossa e militari, come opporsi con pratica flessibile ad affrontare pressioni psicologiche, interrogatori e torture. «Noi non fummo torturati – precisa Salvatore Stefio – Erano pressioni psicologiche, le stesse domande ripetute all’infinito. Poi, mani e piedi legati così stretti e con catene che impedivano la circolazione. Luce accesa notte e giorno o costretti a dormire legati su un fianco con le ossa indolenzite». «Volevano che confessassimo che fossimo spie – interviene Maurizio Agliana – Il capo era sicuramente un ex ufficiale di Saddam. Da come parlava e trattava gli altri carcerieri». Cosa vi è rimasto di quei giorni? «Il tempo è una buona cura. I ricordi sono stati messi a frutto per coglierne il lato positivo: quell’esperienza ora è alla base dei corsi sulla sopravvivenza e in caso di cattura che teniamo con la nostra società in diversi Paesi del mondo». «Questo è un mondo dinamico – dice Agliana – Bisogna continuamente essere aggiornati se si vuole uscirne vivi». L’uccissione del collega Quattrocchi è «un ricordo doloroso e sempre vivo. Fabrizio era un ragazzo solare, posato. Riusciva a sdrammatizzare. Con valori saldi come ha dimostrato nel momento più drammatico», ricorda Agliana. «E pensare che fu scelto lui per una semplice fatalità – spiega Stefio commosso – Io ero il capo di quell’unità, ma hanno scelto lui perché era l’unico ad aver ritirato i badge lascipassare americani. L’interrogatorio di Quattrocchi fu molto pesante con tecniche raffinate che portavano allo sfinimento. Quando lo portarono via, i carcerieri ci dissero che lo dovevano liberare. Non abbiamo saputo più nulla. Dopo la liberazione fu l’ambasciatore italiano a Baghdad a dirci che era stato ucciso».

Quei giorni sono lontani ma nella testa di Stefio, Agliana e Cupertino i dettagli sono vivi. Come il momento della liberazione. L’elicottero che volteggiava sopra la casupola dove erano prigionieri. Le urla, gli spari. «Ci siamo sdraiati in terra, abbiamo capito che qualcosa stava accadendo», riprende il racconto Agliana. «Poi quell’omone bardato come Rambo che sfondata la porta urla; We are your friends». Era un Navy seals del commando che li stava liberando. Le catene vennnero tagliate con una tronchese e un medico si prese cura di loro. Ma tutto sommato stavano bene. Povati ma bene. E arricchiti a tal punto che oggi continuano a fare il lavoro di allora: in giro per il mondo a proteggere chiunque lo richieda.

Sono «contractors». Parola che nella burocrazia italiana non trova patria, assimilati alle guardie giurate. Vi sentite mercenari? «Assolutamente no. Il documento di Montreaux ha definito senza ombra di dubbio il ruolo dei mercenari e quello dei contractor. Noi siamo contractor. Assicuriamo sicurezza in Paesi a rischio, non combattiamo guerre», precisa con decisione Stefio. Quindi potreste operare sulle navi mercantili in funzione antipirateria? «Fa parte dei servizi che forniamo – assicura – anche se in Italia il lavoro è poco». «O meglio il lavoro c’è – interviene Agliana – è difficile acquisirlo. Le società straniere come la nostra sono appoggiate e sostenute dai loro governi, negli Usa o in Gran Bretagna». Quindi si potrebbero creare nuovi posto di lavoro? «I militari italiani sono tra i migliori del mondo, quando si congedano non trovano lavoro – continua Agliana – Lo Stato dovrebbe agevolare le società come la nostra creando posti di lavoro e non disperdendo quel capitale umano che lui stesso ha contribuito a formare». Del resto quanto avvenuto nella vicenda dei due marò è sintomatico di un sistema malato. «Una situazione che seguo con rammarico e delusione per come si sta evolvendo. Rammarico per i due militari. Delusioni per come sono trattati», interviene Umberto Cupertino. «Spero che Girone e Latorre tornino presto a casa» è l’augurio di Cupertino che trova affinità tra la sua esperenza irachena e quella dei marò. «I militari hanno i loro quadri istituzionali e i regolamenti che devono seguire – spiega – I privati hanno altri margini. Siamo in Europa, subiamo le leggi europee ma solo quelle che fanno comodo a qualcuno. Le norme che regolano la nostra categoria l’Italia le ignora». «Così noi lavoriamo all’estero con i nostri contatti, anche sulle navi ma senza sostegno del nostro Paese». Quella patria per quale il loro collega Fabrizio Quattrocchi si è immolato con orgoglio.

Maurizio Piccirilli

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