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Pubblicato il 10/08/2022

RASSEGNA STAMPA- REPUBBLICA SOCIALE: SEGREGATI A COLTANO TANTI NOMI ILLUSTRI CHE AVEVANO ADERITO


foto: archiovio di congedatifolgore.com e internet


Verso il 10 agosto 1944 il campo raggiunge il picco di 32mila presenze e le condizioni di vita sono penose

LA STAMPA del 10 Agosto
gianni oliva

Da Ugo Tognazzi a Walter Chiari, da Dario Fo a Enrico Ameri, da Raimondo Vianello a Enrico Maria Salerno: e con loro il giornalista Mauro De Mauro, il deputato missino Mirko Tremaglia, l’olimpionico della marcia Pino Dordoni e persino l’ormai anziano scrittore statunitense Ezra Pound (strenuo ammiratore di Hitler e Mussolini, dunque traditore dell’America antifascista).
Ci sono tanti nomi diventati illustri tra gli oltre trentamila militi e simpatizzanti della Repubblica Sociale Italiana ammucchiati nel campo di prigionia allestito dagli angloamericani a Coltano, alle porte di Pisa: alcuni sono stati arrestati negli ultimi giorni di guerra, altri si sono arresi per aver salva la vita, altri sono stati consegnati alle truppe alleate da formazioni partigiane moderate, altri ancora sono stati fermati mentre cercavano di raggiungere le proprie case.
Sono i “vinti” della guerra civile, i “ragazzi di Salò”, adolescenti o poco più che dopo l’armistizio dell’8 settembre hanno scelto la continuità con i valori del combattentismo nei quali il Ventennio li ha educati e che in nome di un senso malinteso della “patria” e dell'”onore” sono andati a cercare la dannunziana “bella morte”.

Alcuni dei loro camerati hanno avuto un destino drammatico, travolti nella convulsione della resa dei conti: loro, invece, riescono a sopravvivere e poi a iniziare una nuova vita, che in alcuni casi li porterà ai vertici del successo e della notorietà. In mezzo, l’esperienza del campo di prigionia toscano (come altri, prima di loro, hanno sperimentato quello della certosa di Padula, nel Salernitano: tra questi, l’armatore Achille Lauro e lo scrittore Paolo Orano).
Gli Alleati utilizzano Coltano, una vasta area di campi tra i comuni di Pisa e di Collesalvetti (sino ad allora famosa per il centro radio inaugurato nel 1911 da Guglielmo Marconi), perché è vicina alle loro basi militari ed è decentrata rispetto ai centri industriali dove maggiore è la tensione politico-sociale: lì, a ridosso della Versilia, in un terreno paludoso già bonificato in età medicea, c’è spazio per realizzare baracche, punti di raccolta, depositi, reticolati di recinzione, torrette di avvistamento, fossati di divisione. Bisogna contenere le migliaia di prigionieri repubblichini che arrivano da tutta l’Italia del Nord, accertarne eventuali responsabilità nelle rappresaglie, decidere se consegnarli alla giustizia italiana o lasciarli liberi.

Verso il 10 agosto il campo raggiunge il picco di 32mila presenze e le condizioni di vita sono penose: sorvegliati dai reparti della 92ª divisione americana “Buffalo”, i “camerati di Coltano” patiscono le conseguenze del sovraffollamento, del vitto scarso, della repressione, della mancanza di qualsiasi attività, dell’incertezza sul futuro, del caldo torrido (non un albero e spesso non un soffio d’aria, nonostante sia vicina la pineta di San Rossore): in quanto militi della Rsi, non sono riconosciuti come prigionieri di guerra e non beneficiano delle garanzie della convenzione di Ginevra.
Alcuni di loro hanno una memoria esasperata di quei mesi: Mariano Dal Dosso, nell’autobiografia Quelli di Coltano
, ne parla con rabbia come luogo di degrado, dove «il filo spinato rinchiude uomini umiliati» che si accapigliano per «un torsolo di cavolo in più»; Pietro Ciabattini, già appartenente alle SS italiane, scrive di un lager nel quale si aggirano «migliaia di esseri umani scalzi, nudi, laceri, malati e bisognosi di tutto».
È un campo di prigionia per nemici vinti al termine della guerra più drammatica della storia, e sicuramente le condizioni di vita sono pesanti. Ma altra cosa è parlare di “lager”: la stragrande maggioranza dei detenuti di Coltano, entro la fine del 1945 è libera.
I personaggi dello spettacolo che hanno accettato di parlare della loro esperienza nella Rsi citano la loro scelta giovanile ma non si soffermano sulla prigionia. Alcuni, come Raimondo Vianello, lo fanno senza reticenze e senza orgoglio, riferendosi a una stagione della propria vita rispetto alla quale serve assai più la comprensione storica che l’anatema («Non rinnego né Salò, né Sanremo», dirà in una delle ultime interviste); altri, come Dario Fo, dapprima negano e querelano, poi ammettono con imbarazzo rinviando alla confusione del periodo e alla fragilità dell’età giovanile; altri ancora, come Enrico Maria Salerno, accennano a Coltano per ricordare di aver cercato di farsi considerare «malato di mente» e di averne patito (come conseguenza) il trasferimento prima a Taranto, poi al “Criminal Camp” per fascisti in Algeria.

Più che un campo di ex combattenti nostalgici, Coltano appare lo specchio dello smarrimento ideologico e morale lasciato dal 1943-45: se si esclude Ezra Pound, classe 1885, i futuri uomini illustri imprigionati sono ragazzi del 1925-26, adolescenti infiammati dall’educazione littoria e avviliti dal “tradimento” dell’armistizio, che hanno scelto di schierarsi dalla parte sbagliata.
Lo ha scritto nel 1946 ne Il sentiero dei nidi di ragno un antifascista “insospettabile” come Italo Calvino, partigiano garibaldino sin dal dicembre 1943: «quel peso di male che grava su tutti noi, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto».
E allora, dove sta la differenza tra il partigiano e il milite di Salò? Tra il garibaldino, il badogliano, l’azionista, e quello che si è arruolato nei paracadutisti della Repubblica Sociale Italiana, come Dario Fo, o è andato volontario nei bersaglieri di Mussolini, come Raimondo Vianello? È ancora Calvino a rispondere: «la differenza è la storia. Noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pure uguale al loro: tutto servirà se non a liberare noi, a liberare i nostri figli».

La storia di Coltano e degli altri campi di prigionia per fascisti allestiti dagli angloamericani nella penisola (Padula, Scandicci, Taranto) è ancora in buona parte da scrivere: per decenni è stata circondata dal silenzio della rimozione, oppure dalle fiammate brevi e improvvise dello scandalismo.
In realtà, non c’è nulla da nascondere e nulla da trasformare in gossip ideologico. Semplicemente, c’è da indagare una pagina ulteriore della stagione tormentata e contraddittoria che ha travolto la generazione cresciuta nella guerra 1940-45: per capire ciò che è accaduto, per capire come è potuto accadere.
Per la cronaca, va aggiunto che il campo di Coltano viene consegnato dagli Alleati alle autorità italiane a fine estate 1945 e pochi mesi dopo smantellato: pochissimi i detenuti riconosciuti imputabili di atrocità e consegnati all’autorità giudiziaria.


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