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Pubblicato il 17/09/2015

RETE INTERNET ITALIANA: PALLA AL PIEDE


Navigare con lentezza
I guai della Rete italiana
Siamo ultimi nell’Ue per velocità del Web

La grande maggioranza delle connessioni a banda larga (82%) non raggiungono i 10 Mbps Soltanto a Cipro i navigatori del Web sono più lenti. La quota di connessioni italiane più rapide di 10 Mbps è appena del 18%

PIETRO SACCÒ

MILANO- Chi negli anni Novanta aveva un computer e un accesso a Internet si ricorda la serie di bip, fruscii e suoni striscianti prodotti da un modem analogico mentre avviava la connessio­ne alla Rete. Quel rumore, moderno e vecchissimo, potrebbe essere adotta­to come inno dell’arretrata Italia digi­tale, un paese equipaggiato con una rete fissa a banda larga semplice­mente inadeguata.

A metà luglio 2014 la Commissione europea ha pubblicato l’ultimo aggiornamento, basato su dati di gennaio, sui progressi degli Stati membri verso gli obiettivi tec­nologici fissati dall’Agenda digitale del 2010. L’Europa esige che entro il 2020 tut­ti i cittadini abbiano a disposizione con­nessioni oltre i 30 Mbps e almeno il 50% della popolazione possa navigare sopra i 100 Mbps. Nell’aggiornamento di luglio l’Italia è indicata, assieme alla sola Gre­cia, come una delle nazioni «con una pe­netrazione e una copertura della banda larga fissa molto basse». L’Italia è quart’ultima, tra le nazioni dell’Unione europea, per tasso di cittadini che han­no un accesso a Internet ad almeno 144 kilobit al secondo (la “penetrazione” del­l’alta velocità è al 23,3% in Italia e al 29,8% nell’Ue). E questo è uno dei dati miglio­ri, assieme a un altro, quello delle con­nessioni lentissime, cioè sotto i 2 mega­bit al secondo (è la velocità minima per un uso accettabile della rete): in Italia so­no il 2%, cioè meno del 3% medio euro­peo.

Per il resto il rapporto europeo è un do­cumento duro da digerire per il nostro paese. La grande maggioranza delle con­nessioni a banda larga italiane, l’82%, so­no a lenta velocità, non raggiungono cioè i 10 Mbps. Soltanto a Cipro i navigatori del Web sono più lenti. La quota di con­nessioni italiane più rapide di 10 Mbps è del 18%, una percentuale di poco supe­riore a quella che la media europea ave­va raggiunto nel 2009. Cioè cinque anni fa. Un’era, nella storia dell’evoluzione tecnologica. Oggi la percentuale di con­nessioni europee sopra i 18 Mbps è del 66%, e da tempo si sta diffondendo la co­siddetta “banda larga veloce”, cioè più ra­pida di 30 Mbps: è ormai una realtà af­fermata in una decina di paesi europei (la media è un 6,3% delle connessioni, con punte del 22,7% in Belgio e del 17,2% in Olanda) ma non in Italia, paese che con il suo misero 0,1% è ultima in Europa, anche dietro a Cipro e alla Grecia (en­trambi con uno 0,4%). Questi tre paesi della banda ‘stretta’ sono anche gli uni­ci in cui la rete ultraveloce — quella che va a oltre 100 Mbps — praticamente non esiste: Italia, Grecia e Cipro non arriva­no a uno 0,1% di connessioni ultravelo­ci. Senza rincorrere la Svezia, dove la su­perinternet è quotidianità per il 10,4% dei cittadini, basta confrontare il dato i­taliano con quelli di paesi non proprio all’avanguardia come il Portogallo o la Romania (entrambi con una quota di connessioni ultraveloci del 4,6%) per ren­dersi conto che davvero l’Italia sta rima­nendo drammaticamente indietro.

Nel programma per il semestre italiano di Presidenza europea il governo ha scrit­to che «per progredire verso una vera e­conomia digitale, l’Ue deve colmare le lacune delle proprie infrastrutture e re­ti », un invito che Roma deve rivolgere prima di tutto a se stessa. Se è vero che l’Europa deve «colmare le lacune», per l’Italia si tratta di chiudere una voragine tecnologica. Le compagnie di telecomu­nicazioni si stanno dando da fare. Inve­stono soprattutto sulla rete di connes­sione in mobilità, dove l’Italia – paese sto­ricamente ad altissimo uso di telefonini – è già anche messa meglio del resto d’Eu­ropa. Sulla rete fissa, invece, i privati so­no più cauti. Difficile aspettarsi che le compagnie telefoniche investano gran­di cifre su un mercato italiano sempre meno redditizio: nota l’Agcom che tra il 2006 e il 2014 i prezzi delle telecomuni­cazioni in Italia sono diminuiti del 24,5%, il calo più pesante d’Europa. Per raggiungere gli obiettivi di rete fissa dell’agenda digitale nelle aree d’Italia do­ve il mercato non investirebbe (a partire dal Mezzogiorno) il governo Monti, nel 2012, ha lanciato il Progetto strategico banda ultralarga, con 450 milioni di eu­ro a fondo perduto già stanziati nel 2013. Fondi che si sommano al miliardo del Piano banda larga (i cui obiettivi di una rete a 2 Mbps, però, sono troppo mode­sti per l’Agenda digitale europea. Nel­l’Accordo di partenariato che il governo sta sistemando dopo gli ultimi richiami per Bruxelles, ci sono 2 miliardi di inve­stimenti sulle «tecnologie dell’informa­zione » basati i fondi europei. Nel decre­to Sblocca Italia di fine luglio è stato poi introdotto il credito d’imposta (del 70% su Ires e Irap) per gli investimenti in in­frastrutture a banda larga. Basterà? No, servono più fondi. Per raggiungere gli o­biettivi europei, ha chiarito qualche set­timana fa Antonello Giacomelli, sottose­gretario del ministero dello Sviluppo eoc­nomico con delega alle telecomunica­zioni, servono 5 miliardi di euro. Il go­verno dovrà trovarli. «Del resto — ha ag­giunto il sottosegretario — il presidente del Consiglio ha preso l’impegno di por­tare l’Italia tra le locomotive d’Europa, ri­spetto alla rivoluzione digitale, e penso che gli atti di programmazione debbano essere conseguenti».

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