EL ALAMEIN

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Pubblicato il 08/10/2014

CRIMINI DI GUERRA DEGLI INGLESE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE NEGLI ARCHIVI DEL MINCULPOP

Gli inglesi in Libia Una pagina rimossa di eccidi e saccheggi

Nel 1941 le truppe britanniche entrano a Bengasi e si dedicano a un’opera sistematica di violenza Le prove raccolte in un dossier del Minculpop
Il 6 febbraio 1941, gli inglesi entrano a Bengasi, capitale della regione libica della Cirenaica. Ammainato il vessillo tricolore, le truppe di occupazione, composte in larga parte da australiani, si dedicano a opera sistematica di saccheggio, rapina, omicidio, distruzione, ai danni dei civili, in spregio a tutte le convenzioni belliche. I coloni italiani, per 58 lunghi giorni, finiscono vittime delle angherie nemiche: le case, i negozi, ma anche gli uffici dell’amministrazione coloniale, vengono depredati di ogni cosa, le donne non di rado violentate dalla soldataglia ubriaca, perfino le tombe sono profanate. La furia bestiale si accanisce anche su chiese e musei. I feriti, spesso anche i più gravi, vengono allontanati dagli ospedali, e avviati con il resto della popolazione ai campi di concentramento. Alcuni di questi malati muoiono durante il trasferimento perché viene negata loro anche una goccia d’acqua.
L’arrivo delle armate dell’Asse
Quando le armate dell’Asse giungono a liberare la regione, il 4 aprile 1941, non trovano che fuoco e macerie: prima di abbandonare le città, gli inglesi infatti hanno appiccato roghi ovunque. Soltanto a Bengasi, divampano cinquanta incendi. È la pagina vergognosa – e quasi dimenticata – dello stupro della Cirenaica, uno sfregio che non risparmia niente e nessuno.

L’invettiva di Pavolini
Il Minculpop raccoglie in un dossier molto documentato le prove delle scorrerie inglesi. Nell’introduzione, il ministro della Propaganda, Alessandro Pavolini, raffinato uomo di lettere, se ne esce con quest’invettiva: «Coloro i quali anche una volta sola abbiano prestato orecchio ai gazzettieri ebrei che impudentemente presentan la lotta all’Asse come guerra alla barbarie, favoriscano lèggere. Favoriscano lèggere, coloro che ancora ciàncino – in uno o in un altro spicchio del globo – di superiore civiltà anglosassone. Favoriscano lèggere, coloro i quali reputano gl’inglesi del 1941 diversi da quelli del 1649 e di sempre, diversi dai pirati dei Caraibi, diversi dalle “teste rapate” di Cromwell dedite all’assassinio in massa e ai roghi infantili, diversi dai fustigatori e stupratori del generale Lake in Irlanda, diversi dagl’incendiari dei villaggi indiani e dagli sterminatori dei Cipays, diversi dai massacratori delle donne boere». I documenti raccolti nella pubblicazione del Minculpop sono impressionanti, i racconti ricchi di molti dettagli. Scrive, in una relazione, il sottotenente Mario Gemma, testimone delle violenze perpetrate dagli inglesi a Bengasi: «I primi a subìre l’assalto furono le rivendite di vino, birra e liquori. Esaurito questo campo si passò in quelle delle oreficerie, articoli fotografici ecc». E gli fa eco il commissario straordinario della ricostruzione di Bengasi, Epifani, in un telegramma al Duce del 10 aprile 1941: «Entrate le truppe inglesi il giorno 7 mattina, le truppe mercenarie australiane, sotto gli occhi impassibili dei propri ufficiali, si sono, a ondate successive e per oltre un mese, rinnovando le gesta dei pirati della regina Elisabetta, abbandonate alla rapina, al saccheggio, ai furti, ai soprusi e alle violenze. La popolazione, per opporre una qualsiasi resistenza alla premeditata e sistematica opera di spoliazione, è stata costretta a murare le porte e le finestre delle proprie case e dei propri magazzini».
Divelti anche i lampioni
Niente viene risparmiato. Perfino i lampioni del lungomare di Bengasi sono divelti e trasportati in Egitto. Gli inglesi caricano su piroscafi il mobilio dell’albergo Berenice e del Palazzo del governo di Bengasi. Dal rapporto alle autorità di un residente italiano a Derna, datato 24 aprile 1941: «Gli australiani sfondavamo le case a colpi di accetta e di calci di fucile alla ricerca di oggetti di valore e di denaro: la gente era fermata per la strada e derubata del denaro e degli orologi. La mia casa è stata completamente devastata e mi sono stati portati via anche i miei due autotreni: di ciò sono responsabili il capitano Cleuford, ch’era allora capo della polizia di Derna, il capitano Walker, allora amministratore civile della città, e il capitano di Marina comandante del porto. Le autorità britanniche fecero sgomberare di tutto il loro materiale aziende intere per caricarlo su autotreni e spedirlo verso Alessandria. Tutto il mobilio contenuto nell’Intendenza dell’Africa Settentrionale e tutto il macchinario della Fiat è stato imbarcato. Così è stato anche per la grande tipografia Azaro, di cui l’intero macchinario smontato è stato trasportato ad Alessandria d’Egitto». Dagli atti dell’inchiesta compiuta dal governatorato generale della Libia, emergono ulteriori particolari: «Derna è stata molto provata dall’invasione britannica. Gli svaligiamenti hanno assunto alte proporzioni: le truppe australiane hanno predato i cittadini, a qualsiasi razza o nazionalità appartenessero, imponendo loro, per le strade, con la rivoltella puntata, di consegnare portafogli, orologi e oggetti di valore. Gli australiani entravano nelle abitazioni (sempre con le rivoltelle spianate), chiedevano da bere, ammazzavano i polli e imponevano ai padroni di casa di cucinarli per loro, scassinavano le porte dei negozi e ne portavano via le merci».
Crudeltà gratuita
Gli atti di gratuita crudeltà che si segnalano sono atroci. Al Campo Torelli, presso Bengasi, i britannici, per provare un fucile, ammazzano un tenente e feriscono altri tre ufficiali italiani. Alla frazione “Filzi” del Villaggio “Baracca”, si contano due giovani vittime delle scorrerie: un diciassettenne, Celio Feriotto, e una quattordicenne, Domenica Busnardo, mentre una bimbetta di quattro viene gravemente ferita. Più o meno ovunque, prima di ritirarsi sotto la pressione della controffensiva dell’Asse, gli inglesi distruggono e incendiano pozzi e acquedotti, centrali elettriche, mulini, magazzini e impianti industriali, compresi i macchinari. Le coltivazioni vengono lasciate alla mercé del bestiame. Dopo i 58 giorni di orrore, gli italiani tornano faticosamente alla normalità. Ma per poco. Il 24 dicembre 1941, vigilia di Natale, gli odiati inglesi riconquistano Bengasi e ottengono il pieno controllo della Cirenaica. Una nuova offensiva dell’Asse, iniziata nel maggio del ’42, obbliga i britannici alla ritirata. La marcia delle truppe italo-tedesche si arresta a El Alamein, a un centinaio di chilometri da Alessandria d’Egitto. Il fronte viene tenuto fino ai primi giorni del novembre successivo. Dopodiché, a seguito di una violentissima battaglia, ha inizio la controffensiva finale degli inglesi, appoggiati a ovest dallo sbarco angloamericano in Marocco. Il 23 gennaio 1943, i britannici entrano a Tripoli. La Libia è perduta. Pochi mesi più tardi, le residue forze italo-tedesche, attestate in Tunisia, sono costrette alla resa. L’Asse, questa volta, è definitivamente cacciato dall’Africa Settentrionale

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