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Pubblicato il 09/11/2016

SE I CADUTI FUCILATI NON TROVANO PACE di Marco Bertolini

Il generale Marco Bertolini  ha commentato un articolo apparso su Repubblica che riguarda la richiesta di  riabilitazione dei soldati italini fucilati  durante la guerra 15-18
LA REPUBBLICA

del  9 Novembre 2016

di Marco Bertolini
CARO direttore,
ho letto con disorientamento l’articolo di Paolo Rumiz, pubblicato il 6 novembre, col quale si denuncia la bocciatura al Senato del disegno di legge che prevedeva in sostanza l’equiparazione dei fucilati per diserzione durante la Grande Guerra a tutti i rimanenti Caduti. La Prima Guerra mondiale fu una tragedia epocale, ma ebbe il merito di completare l’unificazione del nostro paese e dare un senso alla nostra identità nazionale ad un prezzo di sangue che non può essere oggetto di intollerabili approssimazioni storiche o speculazioni politiche.
In particolare, sorprende la faciloneria con la quale, nel tentativo di stigmatizzare il provvedimento del Senato, si attribuisce frettolosamente ad altri paesi l’avvenuta adozione di un provvedimento analogo a quello evidentemente auspicato anche per noi. Al riguardo, infatti, né Francia, né Regno Unito, né Germania hanno “riabilitato” i loro fucilati di allora e gli unici provvedimenti adottati riguardano al massimo una “riconciliazione” o “perdono” simbolici che non implicano assolutamente la riabilitazione di quanti già ritenuti “colpevoli” di reati al fronte.
Si tratta di una questione profondamente radicata nelle storie di centinaia di migliaia di famiglie italiane di oggi, anche se forse alcune di loro hanno dimenticato di aver pianto, cent’anni or sono, figli e mariti letteralmente grattugiati sul Carso, congelati, smembrati, schiacciati sulle Alpi o sprofondati in mare. Non è quindi tollerabile alcun tentativo di confondere il perdono e la pietas cristiana per chi ha sbagliato con la sua riabilitazione tout court. È corretto, invece, intraprendere — come suggerito dal gruppo di lavoro guidato dal Prof. Arturo Parisi — un riesame per riabilitare coloro che ebbero come unica colpa quella di incappare nelle maglie strette di in un rigido sistema disciplinare, pur avendo fatto il loro dovere di soldati e di cittadini. È il caso delle cosiddette decimazioni, strumento atroce analogo a quello applicato da altri Paesi, che devono però essere lette dalla prospettiva di allora, quando la nostra giovanissima Nazione era esposta a minacce alla propria sopravvivenza che non abbiamo il diritto di dimenticare.
Voglio citare, al proposito, Angelo Panebianco, per il quale «se chi diserta ha la stessa dignità di chi combatte, cosa diventa lecito pensare di quelli che, nonostante tutto, scelgono di obbedire agli ordini? E che cosa pensare, poi, di quelli che, rispettando gli ordini, addirittura muoiono in combattimento? ». Parole che dinnanzi allo stolido revisionismo dei nostri tempi è necessario scolpire nella pietra. Speriamo di non dover dare loro risposta nel nostro futuro prossimo, per motivare i giovani che ancor oggi scelgono il servizio alle armi per il nostro paese.
Insomma, la prima e la seconda guerra mondiale sono ormai finite e per molti dimenticate, ed è quindi giusto rendere pace a tutti i ragazzi che vi persero la vita. Ma non faremmo loro un buon servizio, né lo faremmo a noi stessi, se li confondessimo indistintamente nella statistica sterile e abnorme delle perdite umane di allora, senza distinguere tra vittime e caduti, tra eroi fulminati nel disperato tentativo di obbedire ai propri ordini e poveri giovani incappati in eventi che non avevano la forza di fronteggiare.
Pensiamo, quindi, a curare maggiormente la consapevolezza di quello che siamo, attraverso il ricordo delle gesta di chi non si sottrasse al proprio dovere. Sarà più facile, così, preservare la dignità della memoria e della verità storica e riservare un fiore e un ricordo commosso anche a quanti non seppero far fronte a quegli eventi più grandi di loro, pagando di fronte al plotone d’esecuzione parte di quello che è comunque il prezzo della nostra libertà. Un fiore alla loro tomba non sarà mai negato. I fiori non si negano mai alle tombe dei soldati. Mai.
( L’autore è un generale italiano, già comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore)

 L’ ARTICOLO DI PAOLO RUMIZ 

LA REPUBBLICA    del  6 Novembre 

 

QUEI CADUTI DEL ’15-18 GIUSTIZIATI DUE VOLTE
PAOLO RUMIZ
GIUSTIZIATI due volte?
Con uno schiaffo istituzionale che ha pochi precedenti, il Senato azzera il decreto sulla riabilitazione dei fucilati della Grande Guerra, approvato all’unanimità dalla Camera il 24 maggio del 2015, giorno della memoria in cui si vollero riabbracciare anche i ragazzi della “mala morte”. Tutto ribaltato: non più revisione dei processi, ma concessione magnanime del perdono. Soprattutto, nessuna riabilitazione, per evitare che «i Caduti nell’adempimento del dovere si trovassero considerati alla stregua di chi si è sottratto al dovere».
A seguire , un pignolissimo elenco di distinguo sul testo originale, che di fatto blocca il procedimento e rimette l’Italia in coda tra i Paesi belligeranti che, a distanza di un secolo, hanno riammesso nell’elenco dei Caduti tutti i fucilati senza distinzione.
«Ho servito la patria in divisa, ma non mi ci riconosco più», è il commento amaro di Mario Flora, nipote di uno dei fucilati di Cercivento, sui monti della Carnia, uno degli episodi più neri della giustizia militare italiana. E aggiunge: «Rifiuto qualsiasi legge su questi presupposti e rigetto il perdono a degli innocenti». «Li hanno fucilati di nuovo», va giù duro Gian Piero Scanu, Pd, primo firmatario alla Camera. «Così si avalla la tesi che Norimberga fu un’ingiustizia, perché si condannarono militari ligi agli ordini», fa eco il compagno di partito Giorgio Zanin, relatore della legge. Reazioni furenti, soprattutto perché a sconfessare il testo originale è stato un altro Pd, Nicola Latorre, un passato dalemiano di ferro, con agganci forti alla lobby militare (memorabile il suo discorso sugli F 35: «Dire tagliamo i caccia per fare asili nido è demagogia o disinformazione »).
Sono partite lettere di protesta per una riscrittura ritenuta offensiva nei confronti dei deputati e anche dell’attenzione dimostrata dalla Presidenza della Repubblica in merito a un atto che avrebbe riconciliato l’Italia con un pezzo della sua memoria. Cosa è accaduto? Mistero. Certamente non basta il fatto che Forza Italia, che aveva votato compattamente a favore alla Camera, si sia messa di traverso e che il bellicoso (ma riformato alla leva) senatore Maurizio Gasparri abbia sparato a zero contro «una riscrittura della storia di orwelliana memoria» avallata alla Camera dal suo stesso partito. «Non si capisce quali pressioni abbiano determinato il voltafaccia», osserva il professor Marco Cavallarin, firmatario della petizione che, due anni fa, ha posto la questione al Paese con argomenti poi rilanciati da Repubblica. La spaccatura più vistosa è nella maggioranza. Forse per evitare che si mettesse in discussione la giustizia militare nel suo complesso, dalle carceri ai tribunali speciali.
In realtà non si è compreso che un’attenta rilettura dei processi – così come chiede il decreto nella sua formulazione originale – avrebbe semmai riabilitato alcune delle procedure processuali dell’Esercito di allora, le quali furono non a caso accusate di “eccessiva mitezza” dal comandante in capo delle Forze Armate, Raffaele Cadorna. Nel suo libro Alpini alla sbarra, lo storico Damiano Leonetti spiega in proposito come mezzo battaglione di Penne Nere, sottoposto a processo regolare per aver rifiutato un attacco suicida sulla Croda Rossa di Sesto nell’agosto del 1915, fu assolto per riconosciute attenuanti e per il coraggio dimostrato in precedenti attacchi. Il problema sorse dopo il primo anno di guerra, quando il generalissimo, incapace di sfondare, scavalcò il codice penale militare – ritenuto troppo garantista – e vergò le sue famigerate circolari. Quelle che introdussero il terrore nella catena di comando, dando via libera alle fucilazioni sommarie e alle decimazioni per sorteggio, ovviamente a spese della sola truppa. La cosiddetta carne da cannone.
Non a caso, nel nuovo testo, la parola “decimazioni” viene omessa e sostituita con “cruento rigore”, a far intendere che non ci sarà riabilitazione per i poveri cristi. I motivi? Si sprecano. Non si sa mai, i discendenti potrebbero nutrire «aspettative economiche risarcitorie, e di recupero di emolumenti mai corrisposti». Al che si aggiunge la beffa, se non l’insulto, di sottomettere la redenzione di morti ammazzati a una loro «condotta positiva successiva alla condanna» resa impossibile dalla sentenza (analogamente, a suo tempo ai parenti di fucilati che chiedevano la revisione del processo fu risposto che «la domanda poteva essere posta solo dall’interessato»…). E poi, si afferma, i senatori non possono chiedere perdono per pene inflitte in nome del Re, e poi il Tribunale militare di sorveglianza non ha risorse adeguate, e poi l’Albo d’oro è chiuso da cinquant’anni, e bisognerebbe riscriverlo daccapo. Eccetera eccetera. Vietato giudicare il sistema Cadorna. Vietato soprattutto che le scuole siano coinvolte nel riesame, come si chiedeva all’inizio, e ciò, si afferma, per insufficienza delle «basi culturali di un adolescente ». Scuse a valanga, pur di non rileggere la storia.

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