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Pubblicato il 11/01/2014

SLOT MACHINE: INGRASSANO DELINQUENTI E POLITICI CORROTTI

Il sociologo Fiasco.

«Macché volano Le slot minano l’economia»

MILANO Dal punto di vista delle teo­rie economiche classiche non c’è niente di più im­produttivo che farsi scucire 90 mi­liardi di euro, quasi senza pro­durre ricchezza. Le associazioni di categoria sbandierano cifre co­lossali: 200 mila posti di lavoro. In realtà bisogna to­gliere 180mila tra baristi, tabaccai, camerieri. I dipen­denti diretti del gio­co non sono più di 20 mila. Per fare un paragone: gli italia­ni spendono in pa­ne 8 miliardi all’an­no, assicurando u­no stipendio a 150mila occupati diretti e 150mila nell’indotto.

Il business dei giochi agisce «co­me moltiplicatore negativo dell’e­conomia – afferma il sociologo Maurzio Fiasco –. A conti fatti so­lo una parte di questa spesa tor­na ai consumatori finali». Secon­do l’esperto della Consulta nazio­nale antiusura, «una parte va alla fiscalità e una confluisce ancora in una entità che non incremen­ta però la domanda dei consumi. Si tratta di quelle entità rappre­sentate dalle grandi società cui vengono appaltati i giochi che, sul mercato, non fanno partire una domanda trainante per i consu­mi ». Per farla breve, «si preleva u­na parte di reddito delle famiglie che invece potrebbe invece anda­re a beni e servizi». In tempi di crisi, peraltro, l’aver trasformato la Peni­sola in un casinò a cielo aperto sta rive­landosi un boome­rang per gli stessi o­peratori. Per la pri­ma volta dal 204 , anno della liberaliz­zazione del compar­to, secondo le prime stime sul 2013 il mercato dei giochi segna la prima si­gnificativa frenata. Dati elaborati dall’agenzia specializzata Agimeg, annunciano il primo saldo nega­tivo in termini di raccolta che si attesta a 85,4 miliardi di euro, ol­tre 2,1 mld, quasi il 2,5% in meno rispetto a un anno fa. La spesa ef­fettiva invece cala di circa 700 mln (il 4%) e scende a 16,7 miliardi: de­naro che per effetto delle vincite viene rigiocato fino a produrre i 90 miliardi di giocate. In calo tut­ti i giochi, ad eccezione dell’inos­sidabile Lotto, che sta tornando a prendersi la rivincita sulla chias­sose macchinette mangiasoldi. Tendenza al ribasso anche per l’E­rario che deve rinunciare a circa 150 milioni (il 2,5% in meno sul 2012): in totale incassa poco più di 7,8 miliardi, meno del 10% delle giocate complessive. Il gettito si attesta poco al di sopra dei livelli del 2008, sebbene l’offerta di gio­co sia molto più ampia di allora.

«Se davvero le politiche economi­che puntano al riequilibrio dei redditi – insiste Fiasco –, allora non si può pensare al gioco. L’im­patto sociale, infatti, si basa su un modello che punta ad avere poco dai molti». Lo Stato ci fa la figura del fesso, al cospetto degli introi­ti dei concessionari le cui società, peraltro, spesso sono residenti in Paesi a fiscalità agevolata.

«Se andiamo a vedere il reddito familiare che viene destinato ai giochi, vediamo che spesso esso è inversamente proporzionale al reddito stesso. E questo – conclu­de il sociologo – va a vanificare an­che misure importanti di soste­gno al disagio, quali il Reddito mi­nimo di inserimento o il Reddito di ultima istanza».

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