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Pubblicato il 04/02/2015

SOCCORSE UN NAY SEAL FERITO IN AFGANISTAN. CHIEDE ASILO IN AMERICA.

Si chiama Mohammad Gulab Khan, ha curato un soldato americano in Afghanistan e per questo è considerato un traditore dai talebani. Ora rischia di essere ucciso e la sua àncora di salvezza sarebbe il trasferimento negli Stati Uniti. Ha chiesto asilo ma Washington, almeno per ora, non ha accettato la domanda. Mohammad si era preso cura di un membro dei Navy Seals rimasto gravemente ferito nel corso di un sanguinoso combattimento contro gli insorti nella valle di Korengal, nella provincia del Kunar che si trova nella parte nord-orientale del paese asiatico, non lontano dal confine con il Pakistan. Era il 27 giugno 2005 quando il militare Marcus Luttrell fu colpito da un’arma da fuoco. Aveva diverse vertebre rotte e si trascinava a malapena. I suoi tre compagni persero la vita nella battaglia che si svolse sulle pendici del monte Sawtalo Sar, alto più di 2.800 metri, contro i fedeli del leader talebano Ahmad Shah, che gli americani dovevano eliminare nell’ambito di un’operazione chiamata Red Wings (ali rosse). La salvezza di Luttrell fu proprio Mohammad, detto Gulab, un pashtun trentenne che viveva in un piccolo villaggio. Immediatamente si comportò secondo il codice d’onore della sua etnia, che gli imponeva di assistere un viaggiatore in pericolo. Egli raccolse il soldato, lo portò a casa e lo tenne nascosto mentre i talebani lo cercavano. Una volta tornato negli Stati Uniti, Luttrell scrisse un libro, Lone Survivor (Unico sopravvissuto) dal quale fu tratto un film che uscì nelle sale nel 2013. Il veterano raccontò in una trasmissione tv che Mohammad avrebbe anche potuto abbandonarlo a se stesso, ma non lo fece. E per questo gli sarà per sempre grato. Il suo salvatore decise di restare in Afghanistan. Lui e la sua famiglia furono presi di mira dai combattenti talebani, specialmente dopo l’uscita del film. Un messaggio anonimo lo avvertì che amici ebrei e americani avrebbero lasciato presto il paese e non l’avrebbero più protetto. Inoltre i comandanti e i guerriglieri avevano ricevuto l’ordine di ucciderlo o catturarlo vivo. La sua casa fu incendiata e uno dei suoi cugini fu ammazzato per rappresaglia. A Gulab non restò che nascondersi, cambiando luogo ogni notte grazie a una rete di amicizie molto vasta, finché si insediò nella base americana di Assadabad. Nel 2010 Mohammad andò negli Stati Uniti, in Texas, invitato da Luttrell: felici di ritrovarsi come vecchi amici. L’afghano tornò nuovamente sul suolo americano in occasione della proiezione del film a fine 2013 e, stando ai giornali, avrebbe vissuto per un po’ in California con la moglie e i suoi dieci figli. Intanto a New York un avvocato specializzato in questioni di immigrazione, Michael Wildes, decise di difendere gli interessi di Mohammad chiedendo lo statuto di rifugiato attraverso l’Onu: la prima tappa verso un diritto d’asilo che solo il ministero della sicurezza ha il potere di concedere. Secondo il legale, l’America deve stendere il tappeto rosso per quest’uomo e la sua famiglia: l’unico modo di battere gli islamisti è sposare la causa delle persone oneste. In questo momento Mohammad e i suoi cari si troverebbero in un luogo protetto in un paese neutro. L’avvocato spera che la domanda d’asilo vada a buon fine. Anche perché sul pashtun pende una condanna a morte perenne: i talebani non perdonano quelli che considerano dei traditori. Ora si attende un chiaro segnale di riconoscenza da Washington

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