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Pubblicato il 14/05/2014

SOMALIA: PATRIA DELLA PIRATERIA E DELLA CRIMINALITA’


Le nazioni Europee, la Nato e gli USA stanno rafforzando la loro presenza per il sostegno logistico alle missioni antipirateria. La Missione EUTM Somalia, per l’addestramento delle forze armate somale, è attualmente comandata dal generale di brigata Massimo Mingiardi

PARMA- La pirateria somala gode di ottima salute, nonostante nel 2013, secondo l’ultimo rapporto del Bureau Maritime International, solo 15 dei 237 attacchi totali di pirati siano avvenuti sulle coste somale. Erano 75 quelli registrati nel 2012 e 237 nel 2011. Un calo che ha diminuito gli incassi ai pirati e dimostrato l’efficacia delle missioni internazionali di Nato ed Ue per la sicurezza marittima, “Ocean Shield” ed “EU-NAVFOR Somalia-Operazione Atalanta”,. Altrettanto efficace è stato l’impiego della sicurezza privata a bordo delle navi, oltre all’autorizzazione da parte di alcuni governi dell’impiego di personale militare a bordo di navi civili, come nel caso dell’Italia, unica in Europa, con i Fucilieri di Marina del San Marco.

Il rovescio della medaglia sono i costi per questa sicurezza garantita a operatori privati. Benché dimezzati rispetto all’anno precedente, nel 2013 sono stati di 3,2 miliardi di dollari.

CRIMINALITA’ DIFFUSA CHE COORDINA GLI ATTACCHI DA TERRA O DALL’OCCIDENTE
“Non sono diminuiti gli attacchi, ma solo i sequestri di navi e il rapimento degli equipaggi. In più, le statistiche non tengono contro dei casi in cui gli equipaggi di mercantili e petroliere non denunciano gli assalti quando questi vengono respinti o falliscono”, dice Donald Brownrigg, fondatore dell’agenzia “Blue Border Holdings”, ex militare in forza sulla flotta navale maltese, capo delle operazioni per una delle principali compagnie di sicurezza privata internazionali e profondo conoscitore della realtà somala.

“Il capitano della nave e il team di sicurezza a bordo sono riluttanti nel fare un rapporto all’armatore, alle forze di sicurezza internazionali e alle autorità perché questo tarderebbe la consegna del carico. iL fenomeno pirateria, quindi, sembra difficile da risolvere “-dice, precisando quali siano le differenze tra una squadra di professionisti che possiede patenti e certificazioni internazionali e una lunga preparazione militare per questa svolgere attività, e chi invece arma persone non idonee o poco formate, come avviene da alcuni anni anche in Italia.

BUSINESS SOMALO: UNA “GIOSIOSA” MACCHINA DA SOLDI
La pirateria è entrata nel tessuto economico della Somalia: uomini d’affari di origina somala, che operano in Paesi come Emirati Arabi e anche in Europa, amministrano i ricavi delle attività, mentre i paesi dell’ex blocco sovietico forniscono armi ed equipaggiamenti.

La manodopera è reclutata nei villaggi, grazie alle tribù e ai clan locali. Al momento i leader pirati operano su vari fronti: Yulux e Saeed Aargosto , due boss, gestiscono tutte le attività legate alla pesca e il traffico di armi e uomini da e per lo Yemen. Qeybdiid, altro capo banda, è in politica, ed è un sostenitore e alleato del governatore del Galmudugh. Garfanje e Suxufi, anche loro titolari di bande di delinquenti, fanno affari con i sequestri e i rapimenti, anche “di terra”, posti di blocco illegali e rapine: il primo trattiene ancora parte dell’equipaggio del mercantile Albedo, sequestrato nel 2010, dopo 4 anni, senza alcuna mossa per liberarlo, il secondo ha prigioniero il giornalista Michael Scott More, catturato e venduto ai pirati nel 2012.

Altri, come Dhooli e Diriye, lavorando direttamente con i terroristi di Al Shabaab, recentemente indeboliti dall’offensiva di Amisom, la Missione dell’Unione Africana in Somalia, e dunque bisognosi di armi, uomini e denaro.

Il territorio è frammentato: grandi regioni dichiaratesi gradualmente indipendenti a partire dal ’91, anno della caduta del regime di Siad Barré, si contrappongono ad un governo centrale pressoché inesistente, il Governo Federale di Transizione, unica entità politica riconosciuta dalla comunità internazionale, che controlla l’area di Mogadiscio. Intorno c’è Somaliland, Khatumo, Galmudugh, e il Puntland, covo storico della pirateria: “La regione ha i suoi servizi segreti, ed è indirettamente sostenuta da Europa e Stati Uniti. Il governo sostiene la pirateria, che gestisce le attività legate della pesca.

ULTIMA fRONTIERA DEL BUSINESS: IN STILE MAFIOSO IMPONGONO LORO STESSI LA PROTEZIONE ALL ENAVI
Hanno creato col tempo un nuovo racket: imposizione di squadre armate anti-pirata, diciamo squadre contro loro stessi, alle compagnie e ai pescherecci di Yemen e Oman. Questi, per pescare o transitare, devono ottenere i permessi delle stesse autorità somale e quindi sono costretti a pagare gli stessi pirati per operare in aree “pericolose” come quelle del Bangladesh. Come dire, tanto ti assaltano, meglio pagare direttamente”.

I PIRATI HANNO UNA INTELLIGENCE CHE FUNZIONA MEGLIO DELLA NOSTRA?
“A gennaio di quest’anno una nave spagnola è stata assaltata, a bordo c’era una squadra di questi addetti alla sicurezza attrezzati dagli stessi capi pirati”, spiega Brownrigg. “Si sono verificati casi in cui più navi sono passate in aree nel golfo in cui, disposte a quadrilatero, si trovavano imbarcazioni pirata. La prima è passata senza essere toccata, lo stesso la seconda, ma non la terza che, nonostante avesse a bordo la squadra di sicurezza, è stata attaccata. Chi da loro informazioni? Molti somali che vivono in paesi occidentali avrebbero il compito di trasmettere informazioni al loro paese”.

COME SONO RIPARTITI I GUADAGNI
In genere, il 30- 75 % dei guadagni viene reinvestito per finanziare nuove operazioni, riciclato attraverso speculazioni immobiliari e la realizzazione di servizi e infrastrutture, e in altre attività attraverso appoggi al di fuori del paese. Il 10 % va in logistica e forniture, il 5% ai negoziatori e solo il 2% ai singoli pirati.

954 i milioni di dollari spesi per la sola sicurezza privata nel 2012, contro i 531 nel 2011, dunque più di quanto abbiano ricavato i pirati in 7 anni dalla riscossione delle taglie per navi ed equipaggi sequestrati. “Si preferisce attrezzare le navi con una squadra di sicurezza, i costi economici ed umani in caso di rapimento sono molto più gravosi- dice Brownrigg. Avere un equipaggio bloccato per 8, 9 mesi in Somalia o Nigeria…è un’esperienza che molti hanno vissuto e che si rivela difficile per tutti e complicatissima…meglio pagare la sicurezza”.

Somalia, il golfo di Aden e l’Oceano Indiano restano aree ad altissimo rischio. Sulla costa ovest dell’Africa, la presenza di gruppi come il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger ha da tempo innescato focolai di tensione e le azioni di pirateria potrebbero diventare fonti di sostegno economico anche per gruppi integralisti come Boko Haram, come è già avvenuto in Somalia.

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