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Pubblicato il 19/01/2015

TRATTAMENTO DEGLI ISLAMICI IN CELLA NELLE CARCERI ITALIANE

La Stampa
sezione: Italia data: 19/01/2015 – pag: 2
Islamici in cella, regime speciale Vitto differenziato ma più controlli
Sessanta in carcere, imam dall’esterno per le preghiere L’incubo dei direttori: proselitismo con colloqui in arabo

Rispetto e attenzione. In due parole, è qui riassunto il trattamento speciale che la Direzione delle carceri riserva ai detenuti musulmani. Rispetto: da anni il vitto è differenziato e si permette la preghiera ai fedeli islamici in moschee autogestite nelle carceri; in qualche caso ciò avviene con l’ingresso di imam dall’esterno, in altri casi con il riconoscimento ad alcuni detenuti del ruolo di imam, che notoriamente nella tradizione sunnita sono i più valenti tra i fedeli. Attenzione: il pericolo del proselitismo da parte dei fondamentalisti è molto considerato dal 2001 in poi.

Di qui un occhiuto controllo sulle comunicazioni interne ed esterne e sulle rimesse di denaro. Non per caso, i responsabili delle carceri partecipano dal 2008 alle riunioni settimanali del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo al ministero dell’Interno. Esattamente dieci anni fa, il Dap ordinò il primo screening sui detenuti musulmani. Ne venne fuori un elenco di 58 nomi che scontavano pene per reati in qualche modo legati al terrorismo internazionale.

I 58, peraltro, erano confinati in un circuito di 4 carceri speciali, ad Asti, Benevento, Macomer e Rossano. Dal monitoraggio emerse che, proprio perché chiusi in un circuito ad alta sicurezza, questi elementi più pericolosi non avevano contatti con la malavita comune e le occasioni di proselitismo erano eliminate. Non tutti i pericoli, però. «Era evidente – scriveva Francesco Cascini, vicedirettore delle carceri fino a qualche mese fa – come taluni dei soggetti interessati si fossero ben integrati con gli altri reclusi, tanto da mantenere contatti anche quando non si trovavano nella stessa sede».

Nel frattempo, il programma di monitoraggio si è esteso e affinato. Si è temuto che il proselitismo potesse venire dal basso. Perciò sono stati schedati tutti i soggetti che rivestivano la figura di imam. Tra i tanti, uno era davvero fuori dal comune: Domenico Quaranta, convertito all’Islam nel penitenziario di Trapani, arrestato nel 2002 per due attentati falliti, nella Valle dei Templi ad Agrigento e nella metrò di Milano, dove lasciò striscioni con scritte inneggianti ad Allah ed ai mujaheddin in Afghanistan, nel carcere dell’Ucciardone ha condotto la preghiera dei detenuti ristretti per il reato di terrorismo internazionale. L’incubo dei direttori di carcere è la lingua. Infatti, non ci si può illudere pensando che i colloqui dei detenuti arabi, in arabo, possano essere decifrati dal personale. Vengono però frenati in ogni modo i contatti dall’esterno.

Il regolamento carcerario prevede la possibilità per i detenuti di usare una radiolina personale. Gli apparecchi che essi usano per tale collegamento sono le radio a «banda larga», le uniche che consentono di captare il segnale di loro interesse. Il Dap, però, con una circolare del 2010 ne ha vietato l’uso per sicurezza. Anche i libri possono essere uno strumento di proselitismo. La polizia penitenziaria è abituata a esaminare bene i testi. Ma lo scontro diventa incandescente, quando oggetto di perquisizione è il Corano, «libro che i detenuti portano sempre con sé: spesso rifiutano la perquisizione e rinunciano anche ad uscire dalla stanza detentiva pur di non permettere a nessuno di toccare il Libro Sacro».

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