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Pubblicato il 03/10/2015

TREVISO: AL RADUNO TRE CARRISTI DI EL ALAMEIN

Vittorio Veneto e Treviso ospiteranno il raduno nazionale dei carristi. Alle 9.30 ci sarà l’alzabandiera a Vittorio Veneto, seguito dal trasferimento alla caserma del 32° reggimento carri di Tauriano per una visita e ritorno a Fagarè per l’Onor Caduti al sacrario. Dalle 16 nella sala Verde di Palazzo Rinaldi conferenza del generale Antonello Vespaziani della brigata corazzata “Ariete” e la presentazione del libro di El Alamein del Professor Aldino Bondesan, titolare scientifico e cofondatiore del Progetto El Alamein.

Domani a Treviso inizierà il raduno vero e proprio, comn l’alzabandiera in Piazza della Vittoria, seguita da una messa al tempio di San Nicolò. L’adunata è prevista alle 10.15 con sfilamento dalle 12 alle 13. Sarà presente anche il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi. Domenica è in programma una sorpresa: su jeep d’epoca sfileranno tre reduci di El Alamein: Gastone Gazzola, Michelangelo Scandola ed Emilio Ongaro, quest’ultimo trevigiano . La storia di Ongaro: nato il 5 dicembre 1919, che ha combattuto in Africa con la Divisione Ariete con il grado di caporal maggiore pilota. Signor Ongaro, come è iniziata la sua carriera militare? «A vent’anni ho fatto la leva a Bologna, come carrista. Ero del terzo scaglione. Dopo sette mesi, mi hanno imbarcato per l’Africa con la divisione Ariete. Siamo sbarcati a Tripoli, con i carri armati montati sui camion e trainati per Homs, Misurata, Gabesh fino a Tobruch». Ha partecipato all’assedio di Tobruch del generale Rommel? «Sì, appena arrivati siamo stati accolti dal fuoco delle truppe inglesi. Siamo entrati subito in azione e con i carri abbiamo effettuato una manovra di accerchiamento. Sono stati tre giorni continui di combattimento finché gli inglesi si sono arresi. Sono usciti con le mani alzate: erano dei giovani come noi». Poi c’è stato il fronte a El Alamein. «Eravamo nel 9° battaglione. Si andava in combattimento tutti i giorni. La prima linea era enorme, un fronte che veniva preso, perso e ripreso. Ma ci battevamo come leoni: “divisione fantasma” ci chiamavano, per l’abilità a nasconderci tra le dune. Poi ci siamo arresi agli anglo-indiani, era il 6 novembre 1942». Dove vi portarono? «In un campo di concentramento ad Alessandria d’Egitto. Una volta ogni venti giorni ci portavano a fare la doccia fuori del campo. Con i compagni riuscimmo a trovare una pala e un piccone che riuscimmo a nascondere durante il ritorno in camion, restando pigiati l’un con l’altro». «La sera piano piano, in tenda, tutti dodici compagni abbiamo iniziato a scavare una buca, un tunnel lungo 8 – 10 metri che passava sotto il reticolato. Stendevamo la terra di riporto nel campo, senza farci notare. Una notte uscimmo fuori e scappammo». Dove vi siete diretti? «Al Cairo e lì ci siamo divisi. Mi recai in un’officina a chiedere lavoro. Il proprietario era ebreo, e mi dette non solo da lavorare, ma anche da mangiare e una branda dove dormire. Mi nascose per sette mesi. In questo periodo pensavo solo a come poter rientrare in Italia. Uscivo solo per andare a messa, sono cattolico praticante». E dopo 7 mesi? «Davanti alla chiesa un giorno mi acciuffarono gli inglesi. Mi portarono di nuovo in un campo di concentramento, vicino al Cairo questa volta. Ci restammo tre anni… anche qui sotto le tende, con il tempo che non passava mai. Eravamo un migliaio di persone». Eravate trattati bene? «Sì, ma quanta fame, ci davano da mangiare solo riso! Poi la guerra finì e fummo imbarcati per l’Italia. A Treviso arrivai che pesavo 40 chili, dovetti essere ricoverato in ospedale per rimettermi.

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