MUORE UN ALTRO FOLGORINO
24 Feb 2003
Autore:Egidio Bonomi -giornalista del Giornale di Brescia-

SAN VIRGILIO DI CONCESIO-BRESCIA
IL GIORNALE DI BRESCIA
autore: Egidio Bonomi

nella foto:
il Folgorino Giovanni Pelizzari ai tempi di Tarquinia

«È mancato all’affetto dei suoi cari…», la solita formula d’annuncio, pacata nel suo farsi, un po’ asettica, se si vuole, soprattutto se poi chi ha compiuto il passo ultimo, ha disegnato una vita intensa, persino eroica, ma senza clamore.
E' morto pochi giorni orsono il Paracadutista Giovanni Pelizzari, di S. Vigilio di Concesio, reduce di El Alamein, paracadutista della mitica, martirizzata eroica «Divisione Folgore»,
spentosi dopo aver sopportato con rocciosa fortezza sessanta giorni di malattia, ma guai a mostrare sofferenza: per medici e familiari stava sempre benissimo.

Certo, se rapportata ai novanta mesi tra guerra e prigionia patiti in Africa, la malattia, pur pesantissima, poteva avere il sapore di un accettabile atto finale.

La vita di Giovanni Pelizzari, nel suo dipanarsi lungo gli 84 anni, potrebbe farsi romanzo, come quasi per ciascun superstite della «Folgore».
La Patria, com’era chiamata all’inizio degli Anni Quaranta senza quello che potrebbe essere definitio «rispetto umano» laico, propone la guerra. Bisogna partire. Giovanni, come meccanico, è destinato al corpo dei genieri.
Al tempo si parlava di guerra-lampo. Sei mesi, non di più, scaricava su tutti radio naja. Così i soldati cercavano d’evitare, potendolo, la partenza per il fronte.

La maggior parte dei ragazzi offertisi volontari al corso per paracadutisti della «Divisione Folgore», s’adagiava sulla speranza d’una guerra brevissima al punto che – si dicevano speranzosi - ad addestramento ultimato, le ostilità  sarebbero già  state chiuse.

Colossale illusione! Pelizzari, con molti paracadutisti bresciani, si ritrova sui tremolanti aerei diretti in Africa. E pensare che il primo obiettivo ventilato era Malta, isola da conquistare, baluardo contro le navi italiane in passaggio verso il Continente Nero.

Giovanni Pelizzari atterrò su Tobruk.
Gli inglesi, da sotto, in trasgressione alla convenzione di Ginevra, praticano un vigliacco tiro al paracadutista italiano.
Pelizzari è ferito ad una gamba ed al gluteo, fortunatamente non in modo tale d’impedirgli la medicazione sommaria e la partecipazione alla battaglia. Poi El Alamein.
I cinquemila commilitoni di Pelizzari sono decimati: ne sopravvivono 380. Tutti prigionieri. Nel campo allestito in pieno deserto dagli inglesi, Pelizzari s’ammala di "tifo nero", com’era tristemente chiamato.
Morbo infettivo che falcidiava giornalmente decine d’italiani. Un mattino si sveglia nella tenda, unico a riaprire gli occhi: gli altri ammalati tutti morti. Il parà  bresciano dovrà  la vita ad un soldato inglese che, di nascosto, gli procura di quando in tanto, un uovo e delle arachidi.
Anche Pelizzari aveva dispiegato umanità  e pietà  verso il «nemico» inglese. Nell’infuriare della battaglia di El Alamein, era finito in una delle tante buche, ad un tempo rifugio ed accampamento dei combattenti. Dentro, agonizzava tra flebili gemiti, un giovane inglese con le gambe orrendamente amputate: era saltato su una mina.

Pelizzari gli offre la sua acqua. Il nemico gli affida le fotografie della moglie e dei figli e l’indirizzo perchè, chiuso l’inferno, desse notizia ai familiari della sua orribile fine. Cosa che non s’avvererà  perchè il paracadutista bresciano sarà  spogliato d’ogni oggetto al momento di cadere prigioniero.

Il nostro è poi trasportato in un campo ad Alessandria d’Egitto. Qui è utilizzato nella costruzione d’una fonderia nella quale sarà  realizzata anche una grande corona destinata ai cancelli di Buckingham Palace, dov’è tuttora. Pelizzari torna a S. Vigilio nel 1946 dopo sette anni e mezzo di guerra e prigionia. Partito a 19 anni, se ne torna quasi a 27, la meglio giovinezza, come si diceva allora, buttata via, unitamente a tantissima meglio gioventù.

Per più di vent’anni il giovane Pelizzari lavora alla Glisenti di Villa Carcina. Poi realizza una fonderia tutta sua per produrre rubinetteria e valvolame forniti a diverse imprese lumezzanesi. Cessa l’attività  quasi a ridosso degli ottant’anni, dopo aver venduto l’azienda. I ricordi della guerra e della prigionia tenacemente avvinti a lui. Nè poteva essere differentemente, poichè s’erano fatti ruvide cicatrici sull’anima d’un eroe silenzioso. Come mille e ancora mille della commovente «Divisione Folgore».
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