IL DUCE CHIESE: QUALI PIANI AVETE PER MALTA? RISPOSTA: NESSUNO!!
14 Jun 2006
Autore: CARLO DE RISIO

Lo storico Holland ricostruisce le vicende belliche nel Mediterraneo tra il 1940 e il 1943
Malta mito imprendibile


di CARLO DE RISIO




L'ADDETTO navale giapponese a Roma, Toyo Mitunobu, era profondamente stupito: a suo avviso, non impadronendosi subito di Malta, gli italiani avevano commesso un grave errore.

L'isola andava presa - «more nipponico» - contemporaneamente all'inizio delle ostilità . Invece, non era accaduto nulla. Incredibile. A Malta, i pareri erano discordi. Il governatore, sir William Dobbie, era preoccupato, mentre le gerarchie ecclesiastiche, da sempre influenti, ostentavano molta calma.

Il cavaliere Annibale Scicluna, che aveva ricevuto l'ordine di far mettere al sicuro le opere d'arte mobili della Protocattedrale di san Giovanni, s'ebbe da un canonico questa testuale risposta: «Se arriveranno gli aerei italiani lanceranno fiori e cioccolatini».

Gli aerei arrivarono, l'11 giugno 1940, con un diverso carico. La prima incursione della Regia Aeronautica causò 35 morti e 125 feriti. Ma, dopo questo esordio, nel cielo di Malta si videro soltanto ricognitori altissimi.

Eppure l'isola era scarsamente difesa. Quattromila gli uomini del presidio, con pochi cannoni contraerei: i tre biplani, in legno e tela, disponibili erano stati battezzati coi nomi delle Virtù Teologali: Fede, Speranza, Carità . A La Valletta come a Londra, sarebbero stati più tranquilli se avessero conosciuto lo scambio avvenuto a Palazzo Venezia tra Mussolini e Badoglio.

Il Duce aveva chiesto: «Quali piani avete per Malta?» «Nessuno», era stata l'incredibile risposta del Capo di Stato Maggiore generale. Niente avevano predisposto Marina e Aeronautica per strappare agli inglesi una posizione straordinariamente importante, distante dieci minuti di volo dalla Sicilia.



«Nulla può essere fatto per difendere Malta», aveva concluso il Comitato dei Capi di Stato maggiore britannico: Churchill, dissentì, giusto quanto aveva affermato, un secolo e mezzo prima, Orazio Nelson: «Spero che non ci capiti mai di perderla». Napoleone, dopo la Pace di Amiens, nel 1802, aveva intimato al Regno Unito di sgombrare l'isola: «Malta o la guerra.Preferirei sapere gli inglesi sulle alture di Montmartre, piuttosto che a Malta».


Ma a Roma si era evidentemente scarsi di conoscenze storiche. Nulla fu lasciato di intentato per far affluire nel Grand Harbour - su sollecitazione di Churchill - uomini, mezzi, artiglierie, aerei, correndo seri rischi. Sulla saga vissuta dalla roccaforte, posta dalla natura nel mezzo del Mediterraneo, ha scritto un ponderoso volume il giornalista e saggista James Holland: «La fortezza Malta -





Un'isola sotto assedio 1940-1943», Longanesi, pagg. 510, 22,50 euro. Non sempre misurato il giudizio dell'autore sul conto degli aviatori italiani, che parteciparono a tre anni di combattimenti. Fu sul serio un cielo di fuoco quello su Malta, se a tutto il 1942 i tedeschi ci rimisero 897 aerei, gli italiani 570, mentre la Raf accusò l'abbattimento o la distruzione al suolo di 844 caccia e la perdita di 518 piloti. Soltanto la battaglia aerea d'Inghilterra fece registrare perdite così elevate e un uguale tributo di sangue.

È innegabile che l'isola rinnovò i fasti del 1565, quando, col «grande assedio», i Cavalieri respinsero gli attacchi dei turco-ottomani di Solimano il Magnifico. Dall'11 giugno 1940 al 20 luglio 1943, le incursioni aeree furono 3.343 che causarono 1.506 vittime, soprattutto fra la popolazione civile. Se, ancora oggi, gli accenti dei maltesi nei confronti degli italiani sono piuttosto duri, è perchè certi sentimenti si sono sedimentati da una generazione all'altra.

Il Royal Opera House è tuttora diroccato, muta testimonianza dei molti altri stabili crollati sotto le bombe. La fedeltà  dei maltesi verso la Corona britannica fu assoluta, al punto da meritare la George Cross, la più alta ricompensa civile inglese al coraggio. In Italia, le scolaresche cantavano a squarciagola: «Malta, Malta/ ancor schiava nel tuo mar/ ti strapperemo all'oppressor».

Ma, retorica a parte, l'«irredentismo maltese», era un mito. Certo, l'italianità  era difesa da uomini come Enrico Mizzi. Ma Lord Strickland e sua figlia Mabel si erano dati da fare, abolendo l'italiano come lingua ufficiale, cancellandolo anche nella toponomastica. Dopodichè, a guerra iniziata, gli inglesi si erano premurati di allontanare dall'isola gli elementi filo-italiani, confinandoli in Kenia e nel Sudan. Il pericolo più serio per Malta fu quando ad assumere il Comando Forze Sud giunse il Feldmaresciallo Kesselring: fosse dipeso da lui - e soltanto da lui - nella primavera del 1942, sotto un diluvio di bombe della Luftwaffe, un colpo di mano sarebbe stato effettuato, con truppe aviotrasportate.

Lo Stato Maggiore italiano prese tempo. Che figura avrebbe fatto l'Italia se «l'isola irredenta» fosse stata conquistata dai tedeschi, come era avvenuto a Creta? Perciò, non se ne fece niente e i mezzi approntati, al pari degli uomini come la Divisione paracadutisti «Folgore», finirono nel deserto, dopo l'effimera avanzata di Rommel in territorio egiziano. L'operazione C 3 (si chiamava così il piano di conquista dell'isola) vide il sacrificio di Carmelo Borg Pisani, il «Nazario Sauro maltese», sbarcato per raccogliere informazioni.

Maltese, filo-italiano, Borg Pisani fu accusato di tradimento e impiccato, ma solo dopo la battaglia di El Alamein, quando il pericolo di una invasione da parte delle forze dell'Asse era tramontato. James Holland tratta questo argomento con degnazione e con acrimonia, l'una e l'altra non condivisibili. Malta, agitò la sua «spada fiammeggiante» - secondo l'espressione Churchill - con effetti micidiali: i mezzi navali ed aerei fecero strage di mercantili italiani diretti in Libia con rifornimenti essenziali.




Lo storico e critico militare inglese Liddell Hart scrive che l'isola fu salvata dalla sfiducia di Hitler verso la Marina italiana. È un fatto che gli inglesi bombardarono dal mare Genova, Valona, il Dodecaneso, Tripoli e gli altri centri della Libia. Mai accadde che le nostre corazzate prendessero di mira l'«imprendibile» Malta, in trentanove mesi di operazioni. A questa passività , fece riscontro il sacrificio consapevole dei mezzi d'assalto della Marina, che si immolarono sotto gli spalti di La Valletta.
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