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Pubblicato il 18/01/2017

GLI ELMETTI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

LA STAMPA

18 Gennaio 2017

 

Elmetti della Prima guerra mondiale

Storia di un oggetto simbolo che ha salvato migliaia di vite

Elmetto Adrian francese con fregio d’artiglieria e gradi da colonello italiani

andrea cionci

Vere icone degli eserciti belligeranti, nel Primo conflitto mondiale, furono gli elmetti, i nuovi caschi d’acciaio che soppiantarono definitivamente i copricapo di cuoio e feltro, rutilanti di fregi e soggoli dorati, provenienti dalla tradizione ottocentesca.  La guerra era cambiata: l’introduzione di nuove armi e tecniche di combattimento evidenziò, fin da subito e in maniera drammatica la necessità di proteggere la testa dei soldati dai sassi proiettati dalle esplosioni e dalle schegge di granata.  La Francia si dimostrò all’avanguardia. Nel febbraio 1915 adottò una “cervelliera”, una calotta metallica da indossare sotto al chepì, che tuttavia riscosse scarso gradimento fra le truppe per via della sua scomodità.

 

Elmetto Farina 1915

 

Grande successo accompagnò, invece, il modello presentato dal colonnello Louis Auguste Adrian, che entrò in servizio nel maggio 1915: nasceva il primo elmetto militare di concezione moderna. Era fabbricato da un foglio d’acciaio di 7 mm di spessore che veniva lavorato a freddo. Alla calotta semisferica, veniva fissata, con quattro rivetti, la crestina che, oltre ad avere una funzione puramente estetica, copriva i fori d’aereazione. Successivamente, venivano montati la visiera e il coprinuca; unico fregio, la granata fiammeggiante con le iniziali RF (République française). Verniciato con il tipico bleu-horizon francese, l’Adrian fu prodotto in circa venti milioni di esemplari.

 

Adrian italiano

 

L’Italia, che entrò in guerra contro gli Imperi Centrali un anno dopo rispetto alla Francia, nel ‘15, non disponeva ancora di un elmetto metallico. Un primo tipo venne distribuito alle nostre truppe, in ottobre, sebbene in numero limitato rispetto alle reali esigenze. Ideato e costruito dall’ingegner Ferruccio Farina, da cui prese il nome, era di concezione rudimentale e si dimostrò scomodo ed eccessivamente pesante (circa 2 kg).

 

“Così- spiega il Colonnello Cristiano Dechigi, Capo Ufficio Storico dell’Esercito – poco dopo, acquistammo dalla Francia gli Adrian che arrivarono al fronte ancora con i fregi e la vernice originali francesi. Tuttavia, questi elmetti – che erano stati disegnati da un pittore e non erano stati sottoposti a prove balistiche – avevano un grave difetto: essendo costituiti da più pezzi, sotto gli urti delle schegge si sfasciavano producendo delle gravi ferite alla testa dei soldati. Ecco perché nel 1916 cominciammo a costruirlo direttamente in Italia, in due soli pezzi, anziché in quattro, in modo che la calotta e le falde fossero tutt’uno. Solo la crestina era a parte, e veniva saldata elettricamente”.

 

Nel Settembre 1915 anche lo Stato Maggiore britannico, fece adottare un modello dal caratteristico profilo sfuggente, “a padella”, studiato per deviare la traiettoria dei colpi. Fu così messo in produzione l’MK I mod. 1915 detto “Brodie Pattern” (Modello largo) il cui peso si aggirava intorno al chilo. L’elmetto inglese ebbe un notevole successo anche nell’esportazione andando ad equipaggiare le forze armate del Commonwealth. Nel 1917, anche gli Statunitensi lo adottarono per mantenerlo sino al 1942.

 

Brodie helmet inglese

 

La Germania fu l’ultima nazione belligerante ad adeguarsi. Era entrata in guerra con l’elmo ottocentesco prussiano, il famoso Pickelhaube (elmo chiodato) un alto casco di cuoio bollito, con visiera e coprinuca, munito di rinforzi in ottone e culminante in un puntale conico, che si riteneva potesse deviare i colpi di sciabola della cavalleria. Nel 1916, durante la Battaglia di Verdun e all’inizio dei combattimenti in trincea, venne sostituito dallo Stahlhelm, o elmetto d’acciaio, modernissimo dal punto di vista della concezione e della costruzione.

 

 

Il dr. Friedrich Shwerd, di Hannover, esperto di ferite da trincea, aveva progettato questo copricapo dalle grandi falde per proteggere la nuca e il collo. Nel febbraio 1916 fu distribuito alle truppe di Verdun, e l’incidenza di gravi ferite alla testa calò rapidamente. Il modello 1916 aveva degli occhielli di ventilazione laterali e sporgenti, concepiti per fare da supporto ad una placca in acciaio addizionale, detta Stirnpanzer, che fu utilizzata in misura limitata solo dai cecchini, in quanto troppo pesante (2,30 kg) per l’uso comune.  L’acciaio era più duro, al silicio/nickel e anche per la forma dell’elmetto, lo Stahlhelm doveva essere plasmato in stampi riscaldati, con la pressatura suddivisa in vari stadi, ad un costo di gran lunga maggiore dell’elmetto britannico.

 

Mod. 1916 tedesco con mimetismo

 

L’Impero Austro-ungarico aveva parallelamente sviluppato uno Stahlhelm abbastanza simile a quello germanico, il Berndorfer, che fu costruito in circa 140.000 esemplari. Dal 1917, l’Austria acquistò, o costruì su licenza il Mod. 1916 tedesco che si affermò progressivamente. Il modello austriaco differiva da quello degli alleati per il soggolo, che era in canapa e non in pelle e per la colorazione marrone, invece che feldgrau, e senza alcuna verniciatura mimetica. Oggi, in tutta Europa, quegli antichi elmi rimangono esposti al pubblico solo sui monumenti della Grande Guerra, come simboli della memoria dei Caduti. Eppure, cento anni fa, questi copricapo d’acciaio salvarono migliaia di vite.

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