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Pubblicato il 23/03/2017

NAVI SCAFISTE IMPUNITE: SONO DELLE ORGANIZZAZIONI “UMANITARIE”

CHI LE PAGA?

PARMA.- E’ ormai acclarato da Frontex e dalla magistratura italiana dopo due lunghi anni, che sono propro le navi delle organizzazioni sedicenti umanitarie, ad essere veri e propri taxi scafisti per trasportare clandestini sulle coste italiane. Il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro ha approfondito la questione ed ha tratto conclusioni allarmanti: in una seduta del Comitato di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, denuncia «una sorta di scacco che la presenza di Ong provoca all’attività di contrasto degli organizzatori del traffico di migranti».Vi sono 13 unità navali legate alle Ong, che nel 2016 hanno traghettato gratuitamente 47 mila irregolari ( Guardia Costiera e Marina Militare 37mila). Il procuratiore è chiaro: le sedicenti organizzazioni umanitarie a caccia di “clienti” e rimborsi , «fanno il lavoro che prima svolgevano gli organizzatori». Un altro punto debole dellal legge così bene sfruttata dai nostri “ospiti” è che gli scafisti non sono «punibili perché costretti a guidare i natanti per salvarsi». Il procuratore di Catania si chiede: come mai c’è stato negli ultimi anni un boom delle unità navali, chi affronta costi astronomici senza un apparente ritorno in termini di profitto economico e perché le navi Ong arrivano sempre prima di quelle Eunavfor Med e Frontex?

Il Paese europeo che ha dato vita alla maggior parte di queste ong è la Germania cui fanno capo cinque ong con sei navi, tra cui le due di «Sos Mediterranee» con costi giornalieri altissimi. La nave «Aquarius» di Sos Mediterranee ha un costo di 11mila euro al giorno. Il Moas (Migrant Offshore Aid) con sede a Malta, fondato dalla coppia italo-americana Christopher e Regina Catrambone, ha costi per 400mila euro mensili e ha due navi: Phoenix, battente bandiera del Belize, e Topaz con bandiera delle Isole Marshall.
Legittima la domanda: da dove proviene il denaro per sostenere costi così elevati?.

Tre procure, Catania Palermo e Cagliari indagano sull’impennata di sbarchi sulle coste «ABBIAMO calcolato – dice Zuccaro – che, negli ultimi quattro mesi del 2016, il 30% dei salvataggi con approdi a Catania è stato effettuato da quelle organizzazioni; nei primi mesi del 2017 quella percentuale è salita al 50%. Ma il numero dei morti non è diminuito: nel 2016 ammonta a 5mila, nel triennio 2013-2015 le vittime sono state 2mila. Il che mi fa ritenere che la presenza di queste organizzazioni non ha attenuato il numero delle tragedie in mare». Le parole del procuratore etneo ampliano quelle contenute nel ‘Rapporto Risk Analysis 2017’ di Frontex, l’agenzia europea che si occupa di confini: «È chiaro che le missioni al limite delle 12 miglia, in acque libiche, hanno conseguenze non desiderate».

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